Uscire dall’Euro e dall’Unione Europea

Governo Conte ed esperienza Tsipras: vicende diverse per una riflessione più vasta

di Fosco Giannini

 

La profonda contraddizione che si è aperta tra il governo giallo-verde italiano e l’Unione europea; il respingimento, da parte della Commissione europea, del Documento Economico e Finanziario del governo Conte e la possibilità, fra tre settimane e se il DEF non sarà cambiato come vogliono le regole dittatoriali dell’Ue, che la Commissione europea lanci dure sanzioni economiche contro l’Italia, sono questioni di densissima natura politica che rimandano per molti versi  alla fase – che fu peraltro ben più drammatica di quella che sta vivendo in questi giorni e per ora il nostro Paese – che segnò la Grecia nel 2015, tra i due governi Tsipras, e anche prima e dopo questi governi.

Proprio perché lo scontro (sino alla sconfitta e l’umiliante resa di Tsipras) tra l’Ue e i due governi guidati da Siryza nel 2015 ( il secondo dura sino ad ora) rappresentano sinora  il punto storicamente  più alto della contraddizione politica interna all’Ue, è bene ricordare questi eventi greci, in funzione di una migliore comprensione sia di ciò che sta accadendo ora tra Commissione europea e governo Lega-M5S, sia per mettere meglio a fuoco l’essenza politica della stessa Ue.

Non si può non partire dal seguente dato: attraverso una linea politica radicalmente critica verso l’Ue, Syriza (il Partito di Tsipras, proveniente dal Synaspismos, a sua volta proveniente dal Partito Comunista Greco, il KKE) ottiene, nella sua prima prova elettorale ( legislative del 2009) il 4,6% dei voti, che diventano, nelle elezioni parlamentari del maggio 2012 il 16,8% e, nelle elezioni di un mese dopo, giugno 2012, il 26,89%. Nelle elezioni politiche del gennaio 2015 Syriza giunge al 36,34 % e, in quelle decisive del settembre 2015, al 35%. Dunque: in soli  sei anni, dal 2009 al 2015, Syriza, popolarizzando una durissima critica alle politiche ultra liberiste dell’Ue, organizzando un’altrettanto dura opposizione politica e sociale ai governi di centro destra che guidavano la Grecia in nome di Bruxelles e della Banca Centrale Europea e proponendo politiche di profonda rottura con l’Ue, passa da poco più del 4% a circa il 36% dei consensi elettorali!

Ciò a dimostrazione che l’Ue e la moneta unica sono idee completamente artefatte, frigide, che non coinvolgono i popoli europei e che quando essi prendono invece coscienza e sono chiamati ad esprimersi bocciano, nella stragrande maggioranza dei casi, sia l’Ue che l’Euro, come insegnano, oltre i successi repentini del partito di Tsipras, il NO  al Trattato di Maastricht espresso dal popolo danese nel giugno del 1992, popolo danese che, nel 2000, ripete il proprio NO al referendum sull’adesione all’Euro; il NO del popolo norvegese al referendum sull’adesione all’Ue nel 1994; il NO del popolo irlandese al referendum sul Trattato di  Nizza nel 2001;  i due referendum bocciati sulla Costituzione europea dal popolo francese e olandese nel maggio 2005; la stessa, gravissima, crisi politica, culturale ed elettorale delle forze socialdemocratiche europee che, per il loro ruolo di braccia armate dell’Ue, hanno imboccato, compreso il PD italiano, una china verso l’autodistruzione dai caratteri irreversibili; la vittoria della Brexit in Gran Bretagna, sino alle vittorie, comprese quelle italiane, delle forze populiste su tanta parta dell’Ue, forze  che basano i loro consensi di massa proprio sulla critica profonda, portata da destra e con possibili esiti tanto liberisti quanto reazionari e razzisti, a Bruxelles.

Ora, per tornare a Tsipras, cosa accade nella Grecia del 2015?

Abbiamo già ricordato la straordinaria crescita elettorale, in pochissimi anni, di Syriza, anch’essa basatisi essenzialmente sui veri e propri tradimenti ideali e sociali del Partito Socialista Greco, il Pasok, che, facendo propri i diktat dell’Ue, letteralmente si consuma, lasciando tutto lo spazio popolare e di sinistra ( tranne quello del PC Greco che, invece, si rafforza) a Tsipras.

Nelle elezioni politiche greche del 25 gennaio 2015 Syriza ottiene il 36,34%, anche se con 149 seggi non giunge alla maggioranza assoluta, che è di 151 seggi. Governa, dunque, attraverso un’alleanza con il partito Anel, una forza di destra, nazionalista ed euroscettica che conta su 13 seggi.

In questa prima fase governativa il governo Tsipras è coerente con le battaglie che l’hanno portato alla vittoria e che fondamentalmente sono sintetizzabili in una contrarietà totale alle politiche di distruzione sociale che la Troika ( lo spaventoso tiro ultraliberista a tre formato dal FMI, dalla BCE e dalla Commissione europea, i cosiddetti “creditori”) vorrebbe imporre ad Atene.

Le stesse prime misure del governo Tsipras sembrano davvero andare nella direzione opposta a quella voluta dalla Troika: tra le grida forsennate dell’Ue si presenta una legge contro la povertà che prevede la fornitura elettrica gratuita, buoni pasto e sussidi per l’affitto alle famiglie povere; la riassunzione di 500 donne della polizia licenziate dal precedente governo Samaras; la riapertura della rete televisiva pubblica (la ERT) che era stata chiusa per favorire la rete privata Nerit; si chiede alla Germania della Merkel un risarcimento di 279 miliardi di euro per le distruzioni portate in Grecia dall’esercito nazista durante la Seconda Guerra Mondiale e, soprattutto, il governo Tsipras respinge categoricamente, in questa prima e breve fase, il piano di salvataggio che la Troika propone affinché la Grecia possa avere altri prestiti dall’Ue: un rialzo dell’età pensionabile sino a 67 anni con la cancellazione sia dei prepensionamenti che dell’Ekas ( l’assegno che integra le pensioni più basse); un considerevole aumento dell’IVA greca, con conseguente rialzo dei prezzi delle merci; l’abolizione degli sconti fiscali per le isole, la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici e nuovi e poderosi processi di privatizzazione.

In nome della lotta contro l’austerità Tsipras dice no a tutte queste sanguinose richieste della Troika e indice un referendum consultivo per il 5 luglio ( siamo sempre nel 2015) affinché sia il popolo greco ad esprimersi: SI o NO alle richieste dei creditori ? Tsipras si schiera naturalmente per il NO e annuncia che, se vincesse il SI, si dimetterebbe. Ma, come in tante altre occasioni in tutta l’Ue, il popolo greco si schiera contro la Troika e al referendum il NO vince con il 61,31%.

Ma dal referendum vinto dal NO alla Troika del 5 luglio all’11 luglio del 2015 Tsipras cambia totalmente natura e linea politica, imboccando la strada drammatica, innanzitutto per il popolo greco, della – apparentemente repentina – subordinazione ai diktat dell’Ue.

L’11 luglio, solo sei giorni dopo la vittoria al referendum, Tsipras presenta ai creditori internazionali un programma economico che, sul piano politico e sociale, è già un significativo passo indietro rispetto al programma, fortemente contrario all’austerità, con il quale Syriza era giunta  ad oltre il 36% dei voti vincendo le elezioni. In questo programma “rivisto” spiccano l’accettazione dei nuovi processi di privatizzazione, il rialzo dell’età pensionabile, l’aumento dell’IVA sui cibi confezionati, l’eliminazione dei benefici per gli agricoltori e l’aumento dal 4% al 6% dei contributi per la sanità a carico dei lavoratori.

Tuttavia, la Troika, ribadendo le proprie richieste duramente antisociali, respinge, ritenendolo insufficiente,  anche questo passo indietro di Tsipras, mettendo il governo greco di fronte ad una scelta: o l’accettazione del programma originale della Troika respinto dal referendum o l’uscita della Grecia dall’Eurozona.

Tsipras sceglie la prima opzione, cancellando con un solo colpo di spugna l’intera linea politica che Syriza s’era data sin dal 2009. In Parlamento il governo Tsipras vota il memorandum della Troika ( generalizzati innalzamenti dell’IVA e delle tasse, nuovi e profondi tagli al welfare e alle pensioni, privatizzazioni massicce e un enorme surplus primario del 3,5%) e l’ala radicale di Syriza, guidata da Panagiotis Lafazanis, esce dal partito fondando Unità Popolare, che si colloca immediatamente all’opposizione del governo Tsipras. L’ex ministro delle Finanze, Gianis Varoufakis, pur non aderendo a Unità Popolare, rompe anch’egli con Syriza.

Nel settembre del 2015, la Grecia torna alle elezioni politiche: di nuovo vince, con il 35,54% dei voti, Syriza, ma il primo ed enorme campanello d’allarme per Tsipras è il dato dell’astensionismo, che giunge al 55%. Anel, la forza di destra euroscettica, ottiene il 10% e sarà la coalizione Syriza –Anel ( Greci Indipendenti) a formare il nuovo governo, che nulla avrà più della spinta al cambiamento radicale e della lotta contro la Troyka e l’austerità che aveva la prima Syriza e governerà, sino ad oggi, con una politica liberista e antipopolare dettata da Bruxelles.

Cosa accade nei sei mesi che separano il primo governo Tsipras, ancora segnato da una volontà di lotta contro l’austerità della Troika, sino al settembre del 2015, quando inizia il secondo, e ormai subordinato, governo Tsipras? Cosa accade, affinché Tsipras (per il quale così tanto si spende il Partito della Rifondazione Comunista, sino a riuscire a candidarlo per tutta la Sinistra Europea come Presidente della Commissione per le elezioni  europee del 2014) cambi così rapidamente natura e linea politica?

Anticipando sinteticamente una risposta potremmo dire che, una volta consumatesi tutte le possibilità di cambiamento dall’interno dell’Ue, Tsipras, non contemplando altre possibilità, scelga la strada della misera genuflessione all’ordine presente delle cose, all’immenso potere della Troika.

Yanis Varoufakis, nel suo importante libro “Adults in the Room” ( tradotto in Italia col titolo “ La stanza dei bottoni”) racconta l’attacco durissimo, senza esclusione di colpi, che per tutti i 162 giorni del primo governo Tsipras la Troika portò contro il governo greco. Ai tavoli oscuri e mai resi pubblici dei negoziati, racconta Varoufakis, gli esponenti degli Stati europei e della Troika misero in campo, con uno stile mafioso e di guerra, una gamma infinita e torbida di minacce, durezza, insulti, evocazioni di orizzonti sanguinosi per il popolo greco, nell’obiettivo di piegare Tsipras e far uscire vittoriosa l’Ue germanizzata, anche a costo, come fu, di gettare nella miseria sociale un intero popolo, quello greco.

Tsipras era stato il primo ad alzare la testa, nell’Ue, e per Bruxelles e la Troika era decisivo sconfiggerlo, per dissuadere ed “educare” ogni altro Stato, ogni altro governo, ogni altra possibile scelta di cambiamento. Naturalmente, sotto questo attacco, la tempra e la cultura politica non rivoluzionaria di Tsipras cedettero.

Ma ciò è solo un aspetto della questione generale che la vicenda Tsipras pone ai comunisti e alla sinistra di classe dell’Ue. Un aspetto che, intanto, ci dice che solo una linea rivoluzionaria, dunque, può fronteggiare un eventuale scontro finale con l’Ue, da parte di un governo che vince le elezioni e legittimamente vuol dotarsi di una linea di cambiamento in relazione ai  poteri liberisti dell’Ue.

Altri aspetti, infatti, sono emersi dalla vicenda Tsipras: primo, l’Ue, per l’autodifesa di sé e del progetto strategico del grande capitale transnazionale che rappresenta, non può tenere e non tiene in nessuna considerazione il legittimo voto dei popoli dei Paesi Ue, non può tenere e non tiene in considerazione le Costituzioni degli Stati membri, i loro ordinamenti. Dopo Tsipras noi sappiamo che il voto popolare non ha nessun valore, poiché se esso indica ai propri rappresentanti al governo una linea di rottura con l’Ue, tale linea viene negata, nei fatti e recisamente, da Bruxelles. Non per niente, una delle considerazioni con le quali Tsipras motivò  il proprio cambiamento di linea fu quella del pericolo di un colpo di stato a cui stavano pensando i militari greci appoggiati dalla Troika. D’altra parte, il progetto di immodificabilità dell’Ue è ben rappresentato da una ferrea regola istituzionale interna all’Ue: i Trattati si possono cambiare solo all’unanimità e questa impossibilità oggettiva la dice lunga sulla natura imperialista della stessa Ue.

Ma un altro aspetto, centrale, decisivo, è emerso dalla drammatica e totalmente fallimentare esperienza Tsipras: la questione dell’eurocentrismo. L’eurocentrismo è una collocazione, ancor prima che geopolitica, ideologica e culturale. Si è eurocentrici per  dogmi “spirituali” e  romantici ( nel loro peggiore aspetto storico e filosofico), per appartenenza continentale e razziale. Si è solamente popoli d’Europa. E ciò anche quando questa appartenenza diviene un inferno sociale per il popolo di un Paese che, anche in virtù di questa prigione metafisica, non può uscire dalla propria sofferenza e dalla propria cattività.

E’ ciò che è accaduto al popolo greco governato dall’eurocentrismo di Tsipras. Dobbiamo asserire questo, in totale controtendenza culturale, alla luce della genuflessione totale di Tsipras alle politiche di lacrime e sangue volute dalla Troika e passate attraverso il Cavallo di Troia della più grande minaccia possibile: se il popolo greco non si inginocchia sarà fuori dall’Ue. Spaventoso per ogni eurocentrista! Per ognuno che considera il mondo finire ai confini dell’Ue. Gli eurocentristi,anche quelli di sinistra e persino comunisti, possono condire la loro posizione volta all’impossibilità di uscire dall’Ue e dall’Euro con decine di argomentazioni, tra le quali campeggia sempre quella del disastro economico qualora ci sganciassimo dall’Euro. Ma ciò che, in verità, li condiziona e li guida sul piano politico è l’eurocentrismo interiorizzato, dal quale non sanno uscire in senso internazionalista.

Nell’aprile del 2015, nel pieno della guerra negoziale tra Troika e governo greco, Tsipras si reca a Mosca ( si recherà da Putin più volte) e la Russia spalanca al popolo greco un intero nuovo mondo. Possibilità di titanici accordi per il petrolio e per il gas, per l’industria, per le infrastrutture, per i servizi, per gli scambi commerciali e per gli aiuti economici senza il cappio al collo della BCE.

Il viaggio dell’aprile del 2015 di Tsipras a Mosca cade nella fase in cui ancora il governo greco ha il coraggio di avanzare un proprio programma alternativo all’Ue, un programma nel quale è presente anche la richiesta, da parte di Atene, di ottenere da Berlino gli indennizzi per l’invasione nazista. Ed è a partire da tutto ciò che la stampa occidentale, ma anche gli Stati dell’Ue e la stessa Troika, interpretano gli incontri Tsipras-Putin: come un possibile cambiamento di campo internazionale per la Grecia. Cioè, l’orrore filosofico, ancor più che politico.

Ma saranno le spaventose minacce dell’Ue al governo e al popolo greco, assieme all’eurocentrismo della sinistra socialdemocratica europea che Syriza incarna, a dissuadere ben presto Tsipras ( se mai l’idea gli sia veramente e timidamente comparsa) a compiere ogni scelta che non sia quella del rientrare nei ranghi, consegnare il popolo greco alla macelleria dell’Ue.

Se la Russia di Putin si era mostrata molto accogliente verso la Grecia, lo stesso valeva per la Cina e per ogni Paese dei Brics. Ciò che ideologicamente non poteva essere in nessun modo contemplato dalla cultura moderata e dall’eurocentrismo razziale di Tsipras era proprio l’unica via di fuga dal dolore sociale e dalla schiavitù politica che rimaneva al popolo greco: rompere con l’Ue e con l’Euro e andare per mare aperto verso un altro mondo.

E’ questa la lezione estrema che ci lascia l’esperienza greca. E’ attraverso questo prisma che potremo leggere, a breve, l’attuale vicenda italiana. Noi crediamo, essendo consapevoli dell’essenza liberista della cultura politica della Lega e dell’apparente disordine ideologico del M5S (un disordine che si ricompone sempre nell’ordine capitalistico dello stato presente delle cose) che il governo giallo-verde di Conte non arriverà nemmeno alle contraddizioni che aprì, per poi suicidarsi, il governo Tsipras. Noi crediamo che il liberismo e l’eurocentrismo ideologico che segnano di sé sia la Lega che il M5S, non potranno portare questo governo italiano alla scelta finale, e necessaria, di rompere con l’Ue e l’Euro, veleggiando poi per altri mondi.

Per la Lega e il M5S, come è stato e come è tuttora per i socialdemocratici e per la sinistra moderata, l’obiettivo massimo, già ora, è quello “di cambiare l’Ue dall’interno”, mantenendo l’ordine liberista sovranazionale, non comprendendo che solo una Ue socialista potrebbe essere una nuova Ue, che solo  una trasformazione socialista sovranazionale potrebbe cancellare la contraddizione tra uno Stato, tra un popolo dell’Ue che si libera in senso anticapitalista e il resto dell’Ue, che nella sua interezza, come accaduto in Grecia, nega, a partire dal potere della Troika, il cambiamento reale ad un Paese singolo.

Un progetto, invece, quello di rompere con l’eurocentrismo, con l’Ue e con l’Euro, in nome degli interessi di classe e di massa, che non possono non perseguire le forze comuniste, antimperialiste e rivoluzionarie.

 

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