“Santiago, Italia”: Moretti racconta qualcosa di sinistra….

di Laura Baldelli

Alla 36esima edizione del Torino film festival, è stato presentato fuori concorso “Santiago, Italia”, il documentario con cui Nanni Moretti torna alla regia,  rievocando coraggiosamente i fatti del golpe cileno di Augusto Pinochet, che rovesciò il governo democratico e socialista di Salvator Allende. Non è solo un film sulla memoria di quell’11 settembre 1973, dimenticata e soppiantata dall’altro 11 settembre 2001, è anche una rievocazione necessaria e urgente per l’Italia di oggi, per capire quanto il Paese e gli Italiani siano cambiati.

Moretti ha sempre prodotto una filmografia che è diventata  coscienza artistica e politica dell’Italia ed ora cimentandosi da documentarista, con filmati di archivio dell’epoca e le interviste agli esuli cileni salvati dall’ambasciata italiana, preferisce la via della testimonianza diretta, piuttosto che quella dell’analisi degli storici. La narrazione è rigorosa, dettata dalla sobrietà di uno stile asciutto, privo di retorica e atmosfere, ma con una grande potenza emotiva e comunicativa, senza cedere alla nostalgia.

Ogni conversazione rinnova nello spettatore la partecipazione e con la sola semplice grammatica del linguaggio cinematografico dei piani, ne fa una lunga testimonianza-deposizione corale.

Il regista partecipa intervistando direttamente gli “asilados” e controbatte con il militare che non rinnega, né si pente di ciò che ha fatto, dicendo: “io non sono imparziale”.

Moretti mette al centro della storia il ruolo dell’ambasciata italiana, dove all’epoca due giovani diplomatici Piero De Masi e Roberto Toscano, in assenza dell’ambasciatore e di direttive dal Ministero degli Esteri, in contrasto con la comunità italiana presente in Cile prevalentemente anti-Allende, decisero di assumersi enormi responsabilità, accogliendo non solo i primi fuggitivi che bussarono alle porte dell’ambasciata italiana, ma anche tutti quelli che in seguito saltarono il muro di cinta dell’ambasciata, per sfuggire all’arresto e alle torture. La sede dell’ambasciata in breve tempo si trasformò in una comune che sfamava e offriva salvezza a centinaia di perseguitati dalla dittatura.

Ma si andò oltre il silenzio-assenzo di “quel ministro democristiano”, parliamo di Aldo Moro….. infatti 600 asilados, con il lasciapassare dell’ambasciata italiana, riuscirono a salire sui  voli diretti in Italia. Il ruolo dei diplomatici italiani fu unico, eroico, coraggioso, nessun’altra diplomazia si adoperò fino a rischiare così tanto.

L’idea di raccontare questa storia che fa onore all’Italia, è venuta al regista durante un viaggio in Cile per una conferenza, conversando con l’ambasciatore italiano.

Il Cile di Allende era stato per Moretti “la storia dei suoi vent’anni” ed anche il sogno di tanti Italiani, che credevano che quella realtà democratica e socialista, potesse avverarsi anche da noi, in un paese della NATO con le basi USA in casa.

Infatti il popolo della sinistra in Italia visse la tragedia del golpe, del bombardamento del palazzo della Moneda, delle ultime immagini del Presidente Allende e la sua morte da eroe, come una storia propria e tante furono le manifestazioni in piazza di condanna a Pinochet.

Poi arrivarono i primi rifugiati e furono tanti i concerti degli Inti- Illimani in tutta Italia. Erano anche i nostri ventanni e tutti cantavamo “El pueblo unido jamas sera vencido”, accanto a “Bella ciao”. Tra i filmati d’epoca, tra gli scorci delle manifestazioni contro la dittatura, c’è anche Gian Maria Volontè, comunista e militante, consapevole, come celebrità, di avere un ruolo importante.

Moretti ha rintracciato i diplomatici-eroi, i giornalisti italiani presenti a Santiago all’epoca e gli esilados, che l’Italia accolse come fratelli, come  ha cercato anche i militari, ed ha registrato 40 ore di interviste che sono il corpo del documentario e non si parla solo del Cile, ma anche dell’Italia in un raro momento di orgoglio nazionale,.

Sono testimonianze preziose per ricordare il golpe violento, preparato e diretto dalla CIA, che distrusse una democrazia liberamente eletta, violando la sovranità nazionale del Cile, perché la Latinoamerica doveva essere l’impero degli USA da spolpare, dopo gli Spagnoli, i Portoghesi e soprattutto la Gran Bretagna, come scrisse e documentò Edoardo Galeano.

Infatti Unidad Popular, guidata da un marxista come Allende, era la prima forza politica arrivata a governare con libere elezioni e non con le armi, era una speranza per tutta la sinistra italiana e segnava un elemento di discontinuità con le precedenti esperienze sovietiche, cinesi, cubane, mentre era ancora in atto il conflitto in Viet-Nam. Erano gli anni di Nixon e di Kissinger.

La dittatura di Pinochet causò in 17 anni più di 3000 morti e desaparecidos, migliaia di torturati, imprigionati ed esiliati. Tra le morti eccellenti e mai chiarite, ricordiamo quella del poeta Pablo Neruda, comunista e sostenitore del governo di Unidad Popular. Nel 1988 Pinochet perse il referendum, si tornò la democrazia, ma rimase capo delle forze armate per dieci anni e senatore a vita fino al 2002, grazie ad una “rimozione collettiva” della dittatura sanguinosa, giustificata dalla paura, sempre incombente, dei militari. Pinochet perse il sostegno della destra solo quando si scoprirono i conti bancari all’estero, non certo per le violazioni dei diritti umani.

Ogni intervistato ci racconta la sua storia, il suo sogno democratico, la fuga, il salto del muro dell’ambasciata italiana, l’arrivo in Italia, l’accoglienza, l’enpatia con il popolo italiano, l’ integrazione, il sentirsi cileno e italiano. Sono uomini e donne che hanno vissuto e lavorato nel nostro paese, qualcuno  è rimasto anche dopo il ritorno alla democrazia, sono giornalisti, operai, imprenditori, avvocati, artisti, registi.

Entriamo subito in intimità con loro, grazie alle inquadrature strette di Moretti, partecipiamo ai loro ricordi, ci commuoviamo con loro; sono composti nel ricordare le violenze subite, le persone care mai più riviste, sentiamo e riviviamo anche noi la loro e la nostra gioventù, le nostre speranze disattese per costruire un mondo migliore. Quanta gratitudine nelle parole, negli occhi, per come li accogliemmo.

La risposta più bella sulla vita quotidiana durante il governo Allende, periodo di riforme e azioni concrete contro la povertà, è che tutti ricordano di essere stati felici, perché l’obiettivo era creare una società di persone felici, migliorando le condizioni di vita con i diritti e le opportunità per tutti, felici e liberi. Era la via cilena al socialismo, portatrice di valori etici, sostenuti anche dalla Teologia della Liberazione, di uguaglianza, ridistribuzione del reddito, scolarità, lotta alla fame e alle disuguaglianze sociali, la dignità del lavoro e dei lavoratori. Per fare dare gambe alle riforme il governo di Unidad Popular nazionalizzò la ricchezza del Cile, le miniere di rame in concessione alle multinazionali Kennecott e Anaconda made in USA ed avviò un programma di autonomia economica, basato sullo sfruttamento nazionale delle ricchezze del Cile. La CIA contrastò con ogni mezzo e fomentò le proteste della borghesia retriva, piegò economicamente il paese, finanziando il blocco degli autotrasportatori, fino ad arrivare al golpe, comprando i militari che tradirono il governo, a cui avevano giurato fedeltà.

Il regista ha intervistato i militari protagonisti degli orrori perpetrati durante la dittatura, per capire come giustificassero le atrocità del golpe. Le posizioni dei 2 militari sono opposte: uno, non è mai stato accusato di nulla e nega che furono dati ordini per le torture contro i dissidenti da parte della giunta militare e rivendica addirittura che il golpe servì a “ripristinare la democrazia”; l’altro invece, intervistato in carcere, dove  sconta la condanna per sequestro ed omicidio, afferma di aver eseguito gli ordini come spetta ai militari, ed è quello che accusa Moretti di faziosità, al quale il regista risponde, con decisione e sobrietà, confermando di non essere imparziale.

In tutte le interviste gli asilados ci raccontano come eravamo, come eravamo prima che sparisse il PCI dopo l’abiura comunista, prima dell’UE, prima della politica della BCE, ma l’affermazione più suggestiva è di Erik Merino che conclude il documentario dicendo: “Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre più al Cile, nelle cose peggiori del Cile. Questa corsa di mettersi in questa società di consumismo è terribile e della persona che hai al fianco, non te ne frega niente, se la puoi calpestare, la calpesti. E’ una corsa verso l’individualismo”.

Infatti il neoliberismo, il capitalismo rapace e la religione del consumo, la competizione, il degrado ambientale ed etico del nostro Paese provoca uno slittamento inarrestabile verso la mancanza di umanità.

L’Italia, come il Cile, vive “una rimozione collettiva” e tutto il film invita alla memoria per capire il presente e riflettere sul futuro che si sta delineando, a compiere un atto di resistenza, come fecero i due diplomatici italiani, dimostrando che il potere diplomatico può essere usato per importanti obiettivi etici, risoluzioni di conflitti, e non solo per accordi economici tra le nazioni.

Finalmente Moretti ha fatto “qualcosa di sinistra”.

 

 

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