Sulla rivista di approfondimento politico e culturale “Il Becco” è stata pubblicata un’importante recensione del libro “La Cina della Nuova Era”, a cura di Fosco Giannini e Francesco Maringiò, casa editrice “La Città del Sole”. Per la densità politica e culturale della recensione, firmata dallo studioso Piergiorgio Desantis, ne crediamo opportuna la divulgazione.
di Piergiorgio Desantis
E’ arretrato e, a tratti, disarmante il dibattito (teorico e politico) in Italia intorno all’ascesa e allo sviluppo che ha caratterizzato la Cina a partire dalle politiche di apertura e riforma di Deng Xiaoping fino all’ascesa di Xi Jinping. Chi scrive, per capire ad esempio qualcosa del 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, si è spesso rivolto alla lettura del quotidiano di Confindustria (Il Sole 24 ore) o a riviste di geopolitica (Limes). Viceversa, soprattutto a sinistra si è privilegiata la stroncatura, la visione occidentalcentrica, la predizione della prossima bolla che sarebbe scoppiata a breve nell’economia cinese, ovvero e in sintesi, un’alta dose di propaganda e ben poca analisi.
Sarebbe auspicabile e stimolante, invece, su questioni complesse avviare un dibattito vivace in cui si possano confrontare più voci senza abbandonarsi alla classica lettura facilona e tranchant (la Cina è capitalista, discorso finito). Il libro La Cina della Nuova Era. Viaggio nel 19° congresso del Partito Comunista Cinese a cura di Fosco Giannini e Francesco Maringiò, La Città del Sole, ha il merito di apportare una voce dissonante ma importante nel panorama del dibattito italiano e che, come tale, merita approfondimento e lettura.
Il libro si compone di una pluralità di contributi di studiosi a partire da quello che è stato un gigante della filosofia e del pensiero come Domenico Losurdo: chi legge comprende che in soli venticinque anni (una virgola nella storia) siamo passati dalla “fine della storia” col trionfo del capitalismo sull’esperienza sovietica e il conseguente “Washington consensus” unipolare fino al mondo presente multipolare dove anche il “Beijing consensus” ha attratto simpatie e consensi in giro per il mondo. Il testo in esame permette di analizzare la Cina moderna a partire, sostanzialmente, dalla periodizzazione in tre fasi storiche.
La prima che parte con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 ove Mao e il PCC conquistano l’indipendenza nazionale e l’integrità territoriale (spesso, anche nel presente, messe sotto attacco). In questo momento, tuttavia, i dirigenti cinesi non riescono a risolvere i gravi problemi legati alla povertà e, soprattutto, incontrano grandi difficoltà nell’avviare lo sviluppo delle forze produttive. Nonostante ciò, come disse Mao, “il popolo cinese si mise in piedi”.
La seconda fase, viceversa, si caratterizza per una crescita economica impressionante che ha significato per milioni di cinesi l’uscita dalla penuria e dalle difficoltà. È l’epoca delle politiche di “riforma e apertura” di Deng Xiaoping dove “diventare ricchi è glorioso”, in cui vi è una forte avanzata economica grazie anche all’attrazione di capitali e di imprese estere con il conseguente sviluppo. Quest’ultimo si contraddistingue per forti squilibri dal punto di vista dell’equità sociale e delle contraddizioni di una crescita incredibile e subitanea.
La terza, ovvero quella contemporanea, che inizia cinque anni orsono ossia da quando è in carica di Xi Jinping e il 18° Comitato Centrale: in questa fase il governo cinese si pone come obiettivo quello di passare da paese prospero a ricco e a diventare pedina fondamentale sul piano internazionale.
Grazie a quest’inquadramento storico svolto in uno dei due contributi di Francesco Maringiò ci si può addentrare nell’ultimo passaggio di fase ossia quello che i cinesi chiamano “Nuova normalità”. È uno snodo cruciale per la Cina perché segna il passaggio dal periodo di crescita sfrenata e senza limiti degli anni Novanta e Duemila a quello attuale dove il modello di sviluppo viene sottoposto a revisione. Il tentativo e lo sforzo avviato dal Presidente Xi segna, a tutti gli effetti, una nuova era per il socialismo di mercato dalle caratteristiche cinesi: seppure nel solco inaugurato nella lotta anticolonialista e nazionale di Mao e non dimenticando la tradizione filosofica confuciana, si riequilibra e si fonda lo sviluppo della futura Cina su un modello in cui c’è ampio spazio per il terziario e per i servizi (informatizzazione, produzione di alta tecnologia, robotica, trasporti, logistica etc.).
Il riequilibro della bilancia commerciale e l’imponente e enorme potenziale serbatoio dei consumi interni da sfruttare sono obiettivi da centrare soprattutto alla luce dell’aggressiva “guerra dei dazi” inaugurata dell’amministrazione Trump. La Cina passa da uno stato di “fabbrica del mondo” a “economia urbana” in cui il miglioramento delle condizioni di vita, lo sviluppo dei consumi e delle infrastrutture rappresentano gli assi strategici del futuro. È una svolta assai importante per il socialismo cinese che si avvia a mettere sempre più al centro l’essere umano nella sua totalità e assume come obiettivo il progresso e la ricerca di una vita migliore per la sua popolazione.
Il PCC ha capito che l’economia fondata sull’export (su questo punto anche in Italia avremmo qualche urgente riflessione da svolgere) può essere un’economia estremamente fragile e dipendente dai venti aggressivi provenienti da paesi esteri. Ecco perché il governo cinese ha deciso di aumentare la spesa per i consumi oltre a stanziare ingenti risorse pubbliche per implementare l’assistenza sociale (dalla cura degli anziani all’istruzione) prefigurando un sistema complessivo non dissimile da quello che in Europa si è chiamato Welfare State.
I dati economici che riguardano gli obiettivi già raggiunti sono impressionanti e, qui da noi, abbastanza ignorati. Diego Angelo Bertozzi, nel suo contributo, ci ricorda che anche nel periodo 2013-2016 il PIL cinese ha continuato a espandersi con un tasso medio annuo del 7,2%; che ad esempio nelle campagne il numero delle persone che vivono ancora in povertà è passato dagli oltre 98 milioni del 2012 ai 43 milioni nel 2016; che l’aspettativa media di vita è salita dai 74,83 anni del 2010 ai 76,34 anni del 2015. Sono tutti indici importanti che ci aiutano a comprendere i continui miglioramenti e gli avanzamenti per la società cinese per la cui completezza si rimanda, comunque, alla lettura del libro stesso.
È una Cina che, nonostante il miope protezionismo americano, guarda ancora con favore l’apertura e la globalizzazione intesa come cooperazione economica globale. Per questo la dirigenza cinese continua a impegnarsi nello stringere, implementare e consolidare relazioni internazionali. È stata messa in campo, a tal proposito, la Belt and Road Initiative (Bri) ossia la Nuova Via della Seta che è un grandioso progetto infrastrutturale di trasporti e non solo che metterà in contatto 65 paesi situati tra Asia, Medio Oriente e Europa. Lungo la rete di collegamenti si sono già installati parchi industriali, linee di approvvigionamento energetico e, soprattutto, zone economiche commerciali in 24 paesi. Oggi il socialismo cinese significa apertura, relazioni (win-win) e scambi commerciali in un futuro di relazioni con alla base la pace e l’amicizia tra i paesi stessi (in Occidente, viceversa, furoreggia la moda di costruire muri e di chiudersi utilizzando ciechi slogan come quella dell’America First).
Interessante è anche l’approccio cinese circa il problema ambientale e il riscaldamento globale. Nel 19° congresso del PCC si è espressa la volontà di costruire una civiltà ecologica socialista poiché come dice Xi Jinping si prende atto che “il danno che l’umanità arreca alla natura, alla fine colpirà l’umanità stessa”. È il giornalista Giuliano Marrucci che spiega la strategia cinese di “attraversare il fiume tastando le pietre” ovvero avviare progetti pilota, anche in questo settore, in zone circoscritte e nel caso di successo replicarli in scala più ampia. Nel discorso di Xi Jinping all’ultimo congresso del partito, infatti, il termine “ecologia” è stato citato ben 89 volte rispetto alle 70 di “economia”. Ciò conferma l’attenzione e l’urgenza di promuovere uno sviluppo equilibrato e rispettoso dell’ambiente. La Cina è già ora paese guida in ambito internazionale in queste tematiche e inizia concretamente a fornire risposte al problema dei cambiamenti climatici.
Mentre Trump porta fuori gli Usa dall’accordo internazionale sulla lotta ai cambiamenti climatici, la Repubblica Popolare cinese si dota di un corpus legislativo adeguato (ben 29 leggi su temi ambientali); la finalità di questo apparato legislativo è quello di tener conto sia dell’espansione delle capacità produttive che anche della fondamentale tutela delle risorse e dell’ambiente. È, infatti, compito del Partito e del Governo assicurare a tutto il popolo condizioni dignitose di vita, alla luce anche della riflessione fatta circa il selvaggio sviluppo industriale degli anni ’90. È una visione di lungo periodo che coniuga uno sviluppo equilibrato e corretto poiché, anche per il Presidente Xi, “montagne ed acque sono montagne ed acque di argento e di oro” e come tali vanno difese e tutelate meglio rispetto anche a epoche recenti.
Al netto di alcuni abbagli (vedi il gigantesco bluff delle eco city che si sono palesate in realtà città con le consuete torri energivore di 35 piani) lo sviluppo economico cinese si conferma leader in quel comparto che in Occidente si chiama green economy. Quest’ultima copre vari ambiti a partire da quello della mobilità: dalla diffusione di massa dei veicoli a due ruote elettrici si è arrivati a avere intere città Start-Up come Shenzen dove tutti i bus privati e di trasporto pubblico sono elettrici. Tra gli altri ambiziosi obiettivi del governo cinese c’è, ad esempio, anche quello di avere un parco veicoli che, entro il 2025, abbia almeno un mezzo di trasporto su 3 con un motore elettrico. Si rinvia ancora al libro per tutti i dati circa le emissioni (la Cina si impegna e sta attuando una riduzione progressiva dei combustibili fossili) e circa i successi e il primato cinese in quanto a tecnologie di utilizzo delle risorse solari ed eoliche.
Importante è anche la lotta alla corruzione portata avanti da Xi Jinping e dalla dirigenza cinese poiché essa è considerata “la minaccia più grande cui il nostro partito deve far fronte”. Tale presa di consapevolezza è prova di un fenomeno presente e esteso soprattutto nel periodo di forte sviluppo economico e che va affrontato e stroncato decisamente anche per non perdere credibilità e consenso presso il popolo. A tal riguardo, il mandato del Presidente Xi si sta contraddistinguendo per la grande riorganizzazione e razionalizzazione del Partito e per un riequilibrio del rapporto tra Stato e Partito stesso.
Attraverso il rilancio della democrazia consultiva, ovvero una lunga consultazione del popolo sotto la direzione del partito, si vuole costruire una nuova società inclusiva e realizzare una reale partecipazione nel cosiddetto fronte unito del quale faranno parte anche: esponenti di spicco di nuovi media (fondamentali nella società di oggi), cinesi all’estero per motivi di studio (che grande contributo possono dare al loro paese di origine) e, infine, una nuova generazione di imprenditori che apportino uno sviluppo equilibrato e armonioso in Cina. Perciò è ritenuto fondamentale anche un nuovo processo di rideologizzazione della società cinese (con la ricorrenza nel 2018 dei 200 anni dalla nascita di Karl Marx è un fiorire di iniziative e di studi marxisti nell’ex Impero di Mezzo) che, rifiutando lo sviluppo di una società post-ideologica, si volge al futuro con lo strumento di analisi e di sviluppo del marxismo adattato alle condizioni cinesi.
La Cina, per concludere, è il paese che prova a far coesistere il socialismo con il mercato in quanto si reputa che non siano in conflitto tra di loro (a differenza dell’incompatibilità tra socialismo e capitalismo). L’obiettivo della società socialista cinese, infatti, è il benessere del popolo (non la condivisione della penuria e delle privazioni). “La Cina si è alzata in piedi, è diventata ricca e si sta rafforzando” ha detto Xi Jinping in un suo recente discorso, i dati economici gli danno ragione e noi, in Italia, ne dovremmo prendere atto, ampliando le relazioni (commerciali e non solo) con loro e provando, finalmente, a capire il loro originale e moderno modello.