Senza tregua.

di Giorgio Langella, Responsabile Dipartimento Lavoro PCI
e Dennis Vincent Klapwijk, Responsabile Dipartimento Lavoro FGCI

Ci sono notizie che non vengono diffuse. Bisogna cercarle tra tante altre più o meno importanti. Ma sono notizie che ci riguardano tutti e che sono da prima pagina. Dovrebbero esserlo “senza se e senza ma”. Possono essere riassunte in un titolo molto semplice.

Un titolo che non si legge nei grandi mezzi di informazione, semplicemente perché descrive tragedie che vengono ignorate: “Morire di lavoro: in due giorni sette lavoratori hanno perso la vita”.
Il 20 novembre 2020, infatti, 6 persone hanno perso la vita mentre lavoravano. La strage continua senza tregua, nell’indifferenza sostanziale di
chi dovrebbe agire e informare. Il 21 novembre un giovane lavoratore è
morto a Gambugliano (Vicenza).

Facciamo riferimento a quanto scrive l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro che pubblica in tempo reale e con la necessaria precisione notizie da quello che è il “fronte del lavoro”. Chi ha la fortuna di conoscere Carlo Soricelli, che cura il sito dell’Osservatorio, sa che si è assunto, senza che nessuno lo chiedesse, il doloroso dovere di informare sull’andamento della strage di lavoratori. Da quasi 13 anni Carlo Soricelli porta avanti praticamente da solo questa battaglia, cosciente che il suo lavoro di informazione non possa risolvere il problema ma che sia utile, direi necessario, per tentare, almeno, di scardinare l’omertà che, di fatto, copre la mancanza della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Leggete quello che Carlo Soricelli scrive nel suo sito (cadutisullavoro.blogspot.com).

I suoi commenti e le opere che crea sono pieni di dolore e rabbia per quello che succede e per ciò che si tace. Certamente Carlo vorrebbe fare altro (fa parte di quella esigua schiera di Artisti, belle persone, che non possono esimersi dall’esprimere la propria indignazione di fronte ai mali del mondo senza chiedere nulla in cambio se non, almeno, una minore indifferenza da parte di chi tiene gli occhi chiusi).

Oggi, sul sito dell’Osservatorio, si possono leggere i numeri di una strage di
fronte alle quale chi dovrebbe agire non fa e chi avrebbe una grande forza di informare non dice: “21 novembre: 49 morti sui luoghi di lavoro questo mese.
(Sono) 529 i lavoratori morti sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno, 1004
complessivi con i morti sulle strade e in itinere. Altri 458 morti per infortunio da coronavirus.”
Numeri impressionanti soprattutto se si è coscienti che ognuna di quelle cifre rappresenta l’insieme di persone che hanno perso la vita mentre praticavano il primo diritto costituzionale: il lavoro. Tragedie che si ripetono ogni giorno e che vengono ignorate perché considerate qualcosa di accettabile e normale. I morti sul lavoro sono le vittime sacrificali offerte al “profitto” e al “mercato” assunti ormai a divinità.

Il lavoro così diventa qualcosa che non serve a promuovere conoscenza e benessere essendo motore di riscatto sociale e dignità, ma competizione tra chi lavora, sempre più faticoso, alienante, precario e poco retribuito: una vera e propria condanna.

Ci si aspetterebbe una levata di scudi, alcune azioni, anche poche decisioni
che permettessero di rendere più umano e meno pesante (in termini di
tempo, fatica e sfruttamento) il lavoro stesso. Tanto per fare una timida
proposta, si dovrebbe investire risorse perché la ricerca, l’innovazione
tecnologica, l’informatica, la robotica fossero indirizzate a raggiungere questo obiettivo e non quello di aumentare il profitto individuale.
Creare benessere collettivo (minore fatica e sfruttamento, maggiore sicurezza nel lavoro …) al posto di aumentare la ricchezza per pochi, non sarebbe, forse, una maniera lungimirante di progettare un futuro migliore?

E, invece, tutto rimane nell’ombra, nel non detto, nel non fatto, nella non volontà di individuare i responsabili, nel considerare impunità dei colpevoli.
La cosa che fa più soffrire è quando si vede che chi dovrebbe agire (e che ha, almeno potenzialmente, la forza o il potere di farlo) resta inerte. Al massimo si limita a qualche gesto di solidarietà, a frasi di cordoglio e di doverosa costernazione accompagnate da un “promettiamo che …” seguito da verbi coniugati sempre al futuro: “faremo”, “creeremo”, “daremo”, “attueremo”.

Di azioni concrete raramente qualche ombra, spesso neppure quella.
Così si resta in attesa di qualcosa. Di leggi migliori per la prevenzione, per il
controllo e, perché no, la certezza della pena per i responsabili. E si continuano ad aspettare investimenti per aumentare la sicurezza nel lavoro e assunzioni di personal adeguato che possa concretamente fare il proprio
dovere di monitoraggio e individuazione delle situazioni fuori norma.

Sarebbe indispensabile, lo ripetiamo ancora una volta, avere nuove leggi e
normative che dessero priorità ai diritti di chi vive del proprio lavoro (piuttosto che al profitto d’impresa). Norme che impedissero lo sfruttamento di chi lavora, la precarietà, il caporalato, retribuzioni insufficienti che costringono ad accettare condizioni lavorative insopportabili. Condizioni che, ne siamo convinti, sono la causa principale delle malattie degli infortuni, dei decessi che avvengono nei luoghi di lavoro.

Oggi come ieri e come domani è necessario esigere un cambio di rotta. Lo
chiediamo a tutti. La sicurezza del e nel lavoro è prioritaria. Bisogna agire e
farlo con obiettivi comuni e con la consapevolezza che questa lotta è
imprescindibile per vivere in una società migliore di quella nella quale stiamo vivendo.

PS: A fine luglio di quest’anno Landini, segretario del maggiore sindacato
italiano, la CGIL dichiarava, riguardo la mancanza di sicurezza nel lavoro: “Il tempo del solo cordoglio è finito, bisogna agire e farlo subito. Non è possibile che appena si riaprono i cantieri si torni a morire e che ci siano lavoratori usciti di casa senza farci più ritorno. Tutto ciò non era accettabile prima del ‘lockdown’, lo è ancor meno oggi”. Una presa di posizione forte e chiara. La promessa di una grande mobilitazione reale. Oggi a Landini vorremmo chiedere, appunto, di agire. Sarebbe indice che almeno qualcuno le promesse le mantiene. Qualcosa di importante specialmente dopo il recente “faccia a faccia” con il presidente di confindustria Bonomi nel quale non si parlato di sicurezza nel lavoro. Neppure un accenno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *