Intervista a Sara Reginella, Psicologa e Psicoterapeuta a cura di Lidia Mangani, Dipartimento Scuola e Università PCI
La pandemia e il distanziamento sociale quali conseguenze hanno
avuto sui bambini e gli adolescenti e quali sono i sintomi più evidenti?
Tendenzialmente, nei bambini si è assistito a un aumento dei disturbi psicosomatici, per cui il disagio psichico, come spesso accade durante l’infanzia, si è espresso perlopiù attraverso l’espressione del corpo. Vi è stato poi un aumento della sintomatologia fobica e ossessivo-compulsiva connessa alla paura del contagio, anche legata alla percezione, da parte dei bambini, delle paure degli adulti di contrarre il virus.
Si noti che durante l’infanzia le reazioni possono essere intermittenti, per cui periodi di disagio possono alternarsi a periodi di maggiore quiete, ma questo non significa che le difficoltà non siano profonde.
È dunque importante confortare i più piccoli, fornire speranza e continuare a garantire loro una routine quotidiana, nonostante i lock-down.
Diversamente, negli adolescenti si è assistito a un aumento delle sindromi ansioso-depressive, del consumo di alcolici e all’accentuazione di vissuti di alienazione connessi anche all’isolamento che perdura da molto tempo.
Un forte disagio è legato alle limitazioni della privacy dovute alla convivenza coatta e prolungata, cui si associano conflitti con i genitori sempre più esplosivi.
Un altro aspetto sintomatico molto importante riguarda l’abuso tecnologico. Gli adolescenti trascorrono la mattinata immersi nelle lezioni online e il pomeriggio troppo spesso collegati con giochi elettronici o connessi in appa, videochiamate o chat con i coetanei. Questa situazione in cui si trascorrono troppe ore settimanali nel web è innaturale, perdura da molto tempo e sta creando disagi di rilievo dal punto di vista psichico.
Pensa che l’utilizzo dei dispositivi digitali e dei social abbia contribuito a mitigare l’assenza di socializzazione in presenza, oppure abbia accentuato, specie negli adolescenti, la dipendenza da Internet?
In una prima fase, social e dispositivi digitali sono stati fondamentali per garantire il processo di socializzazione, ma ora che è trascorso un anno dall’inizio della pandemia, ritengo che la situazione sia degenerata. Ci si è adagiati sulla possibilità che le scuole restassero chiuse, così i giovani sono entrati in un tunnel in cui la vita reale è stata in buona parte sostituita dalla vita virtuale. Per disinnescare questo meccanismo non sono state proposte alternative.
È pericoloso per un individuo, la cui identità è in formazione, il perdurare di un’esistenza avulsa da relazioni interpersonali, dall’attività sportiva o da attività creative di gruppo. In questi mesi è passato il messaggio che le relazioni e le attività con i dispositivi elettronici non fossero inferiori alle attività in presenza. Questa legittimazione ha contribuito all’aumento di problemi legati alla dipendenza dal web. Oggi, sono molti i genitori che riportano preoccupazioni legate, in particolare, a questa tematica.
Quali ripercussioni avrà secondo lei anche a lungo termine questa situazione?
Noi psicologi ci troviamo per la prima volta a interfacciarci con i danni psicologici provocati da una pandemia su scala mondiale. Sono certa che se non s’interverrà adeguatamente, le conseguenze saranno devastanti anche nel lungo termine. Ritengo si stia sottovalutando il problema. Da mesi molti giovani vivono un’esistenza isolata e scissa dalla sfera corporea. Ciò è allarmante, anche perché per costruire l’identità è necessaria l’esperienza della corporeità. Se ci sono interferenze serie sul processo di formazione identitaria e non si interviene, i danni possono essere duraturi, perché il corpo ha un’importanza fondamentale per la creazione dell’immagine di sé. Di questo aspetto, a mio avviso, non si tiene sufficientemente conto.
Quanto è importante la scuola per bambini e adolescenti? Che ruolo svolge per il loro equilibrio psichico?
La scuola è fondamentale, non solo per garantire l’istruzione, attraverso la quale i più giovani potranno crescere come donne e uomini liberi, ma anche perché attraverso le relazioni che s’instaurano con i compagni di classe e con i docenti è possibile crescere, comprendendo e sperimentando l’importanza di concetti come la collaborazione e la cooperazione reciproca. È importante, dunque, nonostante le difficoltà, che anche durante le lezioni online i docenti alimentino lo spirito solidale e di gruppo tra gli allievi.
Raggiungere obiettivi come questo è molto più complesso all’interno di una didattica coltivata a distanza, ma ciò è fondamentale perché è proprio a scuola che s’impara a vivere nella collettività e si interiorizza il valore dell’uscire dalla sfera individuale per entrare in quella comunitaria. Questo aspetto è alla base di un sano equilibrio psichico e relazionale e va considerato insieme agli aspetti cui ho fatto riferimento nelle risposte precedenti.
Aggiungo che in una società individualista come quella dei sistemi liberisti in cui viviamo, l’idea di un individuo solo davanti a un monitor non turba. Invece dovrebbe turbare, perché da un anno gli adolescenti vivono abbandonati dietro a un computer o dietro alle luci degli smartphone.
Come clinico ho il dovere di lanciare l’allarme su quello che sta accadendo, affinché si trovino soluzioni che garantiscano il diritto allo studio e alla salute psichica, all’interno di una scuola in sicurezza.
La didattica a distanza secondo lei è riuscita a sopperire in qualche modo alla didattica in presenza?
Soltanto in parte. I docenti sono stati bravissimi e anche gli adulti che hanno affiancato i più piccoli. Ma i bambini e i giovani in formazione necessitano di una didattica in presenza. Come ho spiegato sopra, non è naturale sopportare un approccio educativo del genere per così tanto tempo.
Inoltre, la didattica si realizza anche grazie all’uso della comunicazione non verbale, che si esprime, ad esempio, attraverso lo sguardo d’esortazione e comprensione diretto a un giovane in crisi o la carezza e il sorriso d’incoraggiamento rivolti a un bambino in difficoltà.
Stiamo dimenticando che l’apprendimento si basa anche su questi codici connessi alla relazione e alla corporeità, difficilmente replicabili attraverso il web, soprattutto con i bambini, i quali hanno un particolare bisogno di vicinanza corporea.
Se in giovane età fosse sufficiente una didattica avulsa dalla relazione, basterebbe studiare le varie materie scolastiche attraverso dei software, addirittura in assenza dell’insegnante, ognuno nel proprio angolo buio, ma ancora, per fortuna, ci rendiamo conto che questa sarebbe un’aberrazione.
A questo punto, se non viene denunciata l’anormalità della didattica a distanza per un periodo così prolungato, credo che essa, in futuro, sarà utilizzata ancora, così come lo smart-working, sfruttando i pretesti più disparati. In questo modo, le persone rimarranno sempre più sole, saranno sempre più deboli e mentalmente manovrabili perché private della forza insita nei legami collettivi.
In questo senso, ovviamente, non penso a un complotto, ma ritengo che questi saranno gli esiti inevitabili del protrarsi di sistemi di comunicazione di cui non si deve abusare, nonostante essi possano risultare validi in emergenza e per periodi limitati.
Il nostro Paese, rispetto agli altri Paesi europei, ha tenuto chiuse le scuole per molto più tempo, nonostante le regole e i protocolli a scuola siano stati rispettati. Lei pensa che queste chiusure prolungate si potevano evitare? Il diritto all’istruzione e alla socializzazione non dovrebbe essere garantito come il diritto alla salute?
All’inizio della pandemia ero favorevole ad un lockdown molto rigido, sulla scia del modello cinese. Purtroppo l’attuazione non è stata possibile, anche perché realtà come Confindustria hanno esercitato forti pressioni sul Governo affinché le aziende restassero aperte. È mancato un sistema tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e investimento sul sistema sanitario. In assenza di sufficienti controlli sulla circolazione, nonostante i numerosi contagi, la pandemia si è diffusa in tutta Italia. Le misure severe e restrittive si sarebbero dovute attuare sul nascere del fenomeno, ma questo non è stato fatto.
Arrivati a questo punto ritengo che, come avvenuto in altri paesi, in Italia le scuole sarebbero dovute essere le ultime istituzioni a chiudere, anche in considerazione del fatto che l’Istituto Superiore della Sanità ha parlato di percentuali di focolai negli istituti scolastici pari al 2%.
Il diritto alla salute, dunque, non può essere considerato superiore al diritto all’istruzione. Chi afferma il contrario ignora che la Costituzione italiana impone allo Stato di attuare politiche per garantire tutti diritti sociali, dal diritto alla salute al diritto all’istruzione, senza livelli di gerarchia.
(dalla pagina Facebook di Priorità alla scuola-Comitato Marche).
Sara Reginella parteciperà su questi temi alla diretta del Dipartimento Scuola e Università giovedì 1 aprile.
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Sono d’accordo su quasi tutto, in particolare sulla parte clinica. Ma la dizione “diritto alla salute” è equivoca. Qui non si rischia di ammalarsi, ma di morire. Non diritto alla salute, ma diritto a vivere! Il fatto che la scuola sia sicura e non (forte) veicolo di contagio è una fanfaluca. E’ in grado lo stato di fare tamponi ravvicinati a tutti gli studenti? E’ in grado di fare tracciamenti? (e persino: è in grado di tamponare le classi con contagi?).No! Non si può tornare in classe in queste condizioni! Il governo e la borghesia vanno denunciati perché corresponsabili, quando non direttamente responsabili, della situazione pandemica, non per il fatto di chiudere!