L’indignazione da sola non basta più. È tempo di fare. La memoria serve se è lievito vivo del futuro e strumento di vigilanza attiva delle coscienze.
di Patrizio Andreoli Segreteria Nazionale PCI, Dipartimento Politiche dell’Organizzazione
Quanto accaduto a Venturina Terme (una frazione livornese del Comune di Campiglia M.ma) al giovanissimo ragazzo di famiglia ebraica fatto oggetto di violenza antisemita e di manifestazioni di odio razziale (calci, sputi, minacce) da parte di due ragazze adolescenti di quindici e diciassette anni, deve profondamente indignare ma non stupire. Indignare. Sempre! Senza cedere d’un colpo e d’un solo passo, circa l’indispensabile reazione. Reagire, nonostante l’opacità e la “svogliata coscienza” dei tempi figlia non casuale di una lunga azione di resettazione della storia e della memoria, di snervamento -quando non di vera e propria aggressione e falsificazione- della formidabile stagione della Resistenza e Lotta di Liberazione, che oggi rischia di relegare ad atto retorico, a contrappasso rituale e inefficace, la stessa mobilitazione e protesta dinanzi a fatti come questo. Servono un sussulto civile e politico nuovi e non atteggiamenti predicatori. Serve che la politica non si autoassolva ma si interroghi seriamente e profondamente. Serve che essa si innervi di nuova tensione morale, di distinguo fondamentali capaci di ricostituire nuove dighe contro il peggio. Le “aguzzine provvisorie e casuali” che hanno messo in atto un comportamento ignobile, sono figlie e specchio parziale del nostro orrore presente, figlie della nostra normalità. Bisogna denunciarlo e saperlo. Ragazze, nel caso, che ancora disegnano cuori sul diario, piangono se l’animale di famiglia sta male o è scomparso, si esaltano per il gruppo rock di grido. Figlie di tempi duri, spesso, sempre più spesso impietosi dove si è via via assottigliata la soglia tra l’ammissibile e il disumano, persino tra il virtuale il reale. Perché la vita, quella vera, che per l’appunto non è un videogame dove si può uccidere e torturare andandosene poco dopo con spirito leggero a cena, a scuola, a ballare con gli amici; pretende ad ogni passo da noi scelte di merito e di campo, pretende una selezione e adesione ad uno o più nuclei e universi valoriali, pretende la traduzione quotidiana della nostra visione del mondo, con buona pace di chi -mentendo sapendo di mentire- ha professato da tempo la morte dell’ideologia, ovvero della visione del mondo di cui ciascuno, ne sia consapevole o meno, è espressione e protagonista attivo.
Sì. È necessario reagire ma non stupirsi, e certamente non lo faremo noi comunisti. Tanto e quanto più si sono moltiplicati in questi anni segni d’odio, aggressioni ai simboli dell’antifascismo, alle abitazioni di questo o quel privato cittadino, sindacalista, esponente politico, rappresentante di una comunità o etnia, in un crescendo violento culminato nel recente attacco (dall’immenso valore e significato) alla stessa sede nazionale della GCIL, che ha fatto strame di solidarietà e vigile coscienza critica, smarrendo quel senso di vergogna che in via immediata e popolare, riconosceva nel fascismo e nel nazismo un disvalore non riducibile. Un’azione di corrosione continuata al patrimonio culturale e civile migliore del Paese che da comunisti denunciamo da anni, battendoci contro una deriva che mette brutalmente in discussione la tenuta, la qualità e densità della nostra convivenza e della stessa democrazia. Tutto questo mercé la rottura di un argine morale e culturale prima ancora che politico. Un’onda grigia e ormai diffusa per episodi e caratteristiche, che si è nutrita della rottura della cultura solidale dei piccoli e dei deboli messi l’uno contro l’altro, di una guerra feroce tra poveri scatenata dalla crisi, di soli e disperati deprivati di ruolo sociale, di memoria delle lotte, di speranza di riscatto e cambiamento per sé, di emancipazione e avanzamento di tutti. A tanto si è voluti giungere mercé la complicità lunga di una sedicente sinistra moderata e area progressista, che ha abdicato alle proprie radici e alla propria funzione sino a negare la parte migliore della sua storia, sino a smarrire e a recidere il rapporto coi propri soggetti sociali di riferimento. Reagire ed indignarsi dunque, perché l’assuefazione -ancella dell’indifferenza- è già la “banalità del male” in marcia lungo una linea indistinta per storia e valori di riferimento, alla fine di cui tutti si pretendono “uguali”, a loro modo meritevoli di considerazione e credito, indistinguibili.
Massacrati e massacratori posti dunque sullo stesso terreno, ognuno con le proprie ragioni come se i valori dei partigiani e dei patrioti torturati e uccisi, potessero stare sullo stesso piano dei repubblichini fascisti che hanno istradato i nazisti verso lo scempio di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto, o aiutato zelantemente nell’azione di rastrellamento di civili inermi ed antifascisti poi deportati alla Risiera di San Sabba o ammassati al binario 21 presso la Stazione di Milano in partenza verso l’annientamento. A tale “interessato orizzonte” e quale segno dei tempi, non è possibile oggi non associare lo stesso pronunciamento del Parlamento Europeo che appena dieci mesi fa ha equiparato comunismo, fascismo e nazismo. Un orrore sul piano culturale, un errore politico tragico, pregno di cupe conseguenze sul piano storico e valoriale, sul terreno di quanto e come tutto ciò si traduce per l’appunto in senso comune. Un disastro per la coscienza morale e civile dell’intera Europa.
Qualcuno ha commentato in queste ore come quanto accaduto si riveli grave, tanto più alla luce dell’approssimarsi del “Giorno della memoria” che guarda caso coincide con la liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Forse che se accadeva tra un mese o il giorno dopo tale ricorrenza, la cosa era meno grave ed emblematica? La “banalità del male” parte sempre in maniera apparentemente innocente dalla banalizzazione culturale, dall’omissione, dalla sottovalutazione.
Vi è un’unica risposta seria. L’avvio di una nuova stagione di antifascismo militante. Il recupero e la testimonianza attiva di valori che sappiano saldarsi a comportamenti coerenti, che sappiano ridare significato a parole e gesti (e per contrappasso, al loro contrario), che sappiano indicare la via di un nuovo protagonismo cosciente. Le vittime non reclamano la nostra pietà (pur umanamente giustificata) ma di giustizia, ovvero scelte attive perché “ciò che accaduto non accada di nuovo”. I (le) responsabili non hanno bisogno di una stigmatizzazione d’occasione, dura nel linguaggio quanto innocua nei fatti, ma della (ri-)costruzione di una diga di granito fatta col dolore di tutte le vittime, della costruzione e dell’avvio di una nuova stagione politica e civile. La cosa certa è che sia le giovani ragazze (verso le quali serve capire e mai giustificare) che la giovanissima vittima, sono tutti figli e facce della stessa barbarie dei tempi. Non basta più denunciare, né protestare. È tempo di fare. Si rialzi la voce dell’antifascismo. A Berlino, presso il Memoriale dell’Olocausto, una distesa di lastroni di cemento che rimandano a tombe di varie altezze che si distendono su un terreno ondulato, all’ingresso campeggia una frase dell’italiano Primo levi: È accaduto, dunque può riaccadere di nuovo. La memoria serve, se è lievito vivo per il futuro Serve, se si traduce in instancabile vigilanza attiva delle coscienze.
Condivido appieno. Ogni parola, anche le virgole.
Purtroppo nelle famiglie non viene più insegnato il rispetto per niente e nessuno è queste sono le conseguenze. Se poi l’esempio che viene dato è quello di essere “furbi e cattivi” prevaricando sempre e comunque gli altri, ad ogni costo, è la fine.
Sicuramente c’è da dire anche però che il comportamento di alcuni politici non aiuta davvero.
Si ma… va bene tutto, ma vogliamo parlare della Palestina?
Questi qui vorrebbero rispetto senza automaticamente rispettate gli altri?
Lo si ricordi.
Sempre.