Partire dalla condizione materiale e dal dolore sociale del Paese
Il nodo salariale è oggi una grande questione sociale, un nodo di equità e di crescita da affrontare, un tema di carattere generale su cui far leva per rilanciare la battaglia in difesa della dignità del lavoro, della vita e del futuro di ciascuno.
a cura di Patrizio Andreoli – Segreteria Nazionale PCI
Questo è il Paese dei bonus e, all’occasione, delle sanatorie edilizie e dei condoni fiscali (che tradotto, spesso significa taglio netto o colpo di spugna circa quanto dovuto), del caporalato e dello sfruttamento talora selvaggio nelle campagne e dei morti sul lavoro che a tutt’oggi si risolvono in sanzioni o semplice refusione ”) pecuniaria per gli imprenditori (…quando si dice banalizzare la vita!); il Paese delle multe non pagate che se attendi “il giusto” prima o poi forse andranno in prescrizione, delle cartelle esattoriali che si esigono prima “con ferreo rigore”, poi forse no, con sconti, rinvii di legge e possibili rottamazioni, poi di nuovo con atteggiamenti vessatori per anche un solo centesimo non pagato. Questo è il Paese che, per l’appunto, è forte e prepotente coi soggetti sociali deboli e gli anziani, che per la differenza di pochi euro non saldati allo Stato o a questo o a quell’ente di gestione, si vedono applicare con pignoleria borbonica prossima alla persecuzione, interessi e more vertiginosi ad anni di distanza dal fatto contestato. Il tutto, fra rassegnazione e amarezza, imprecazioni contro “il governo ladro” (e quando non ladro, comunque spesso iniquo), in un Paese seriamente impoverito dove ormai il 10% della popolazione (oltre sei milioni di cittadini) è sul bordo -quando non addirittura sotto- la soglia di povertà. E si continua, tra bonus e promesse mirabolanti, mentre le famiglie stentano a giungere non a fine, ma ormai a metà mese; mentre la preoccupazione di non farcela divora sicurezza e dignità dei cittadini. Il Governo, che sembra vivere dentro una campagna pubblicitaria e promozionale degna di un supermercato, promette ormai bonus e sconti su tutto. Certo, ben venga ogni tipo di immediata refusione che permette alle classi subalterne, alla povera gente e a quella che lavora di difendersi appena meglio. Ogni euro, è un euro “di resistenza”! Ma il nodo politico che conta non sta qui. Il nodo, è che il Paese ha bisogno di aumenti salariali e non di bonus una tantum elargiti per benevolenza delle classi al comando e dei grandi gruppi finanziari ed economici. Aumenti di stipendio, e non mance di cui dover ringraziare il potente di turno. Di più soldi in busta paga, contrattualizzati e riconosciuti quale avanzamento economico permanente e diritto acquisito. Tutto questo, mentre in da anni i nostri salari sono i più bassi d’Europa, il numero dei dipendenti pubblici (servizi etc.) è il più basso in rapporto alla popolazione, la qualità della spesa pubblica (investimenti e loro risultati) è fuori controllo o scarsamente monitorata. Ma intanto, nel Paese dei campanelli, dove la crisi -prima e post Covid- la stanno pagando duramente i lavoratori, si aumentano vergognosamente le spese militari (siamo a ben oltre il 2% del PIL, ovvero della ricchezza generale prodotta dal nostro Paese). Mentre scrivo, l’Italia spende 104 milioni di euro al giorno per partecipare alla politica e alle scelte Nato ed euroatlantiche. Tutto questo, mentre i soldi per ristrutturare le scuole dei nostri figli non ci sono, i soldi per la cultura (considerata un sovrappiù sacrificabile) sono sempre meno, e si annunciano ancora tagli alla spesa sanitaria per oltre 6 miliardi nel prossimo triennio. Il punto, è che non siamo in un’operetta di cartapesta e a lieto fine, ma nel vivo della tragedia sociale del Paese. Serve una grande battaglia unitaria e del lavoro per salari più dignitosi e adeguati. Un grande movimento di popolo che determini una svolta politica reale nel governo del Paese. Si può e si deve fare. Il Pci c’è.
[…] Non è il paese dei campanelli […]