Dopo i fatti di Firenze – Quella felice lettera “impropria”

Patrizio Andreoli – Segreteria Nazionale PCI

Nei giorni scorsi il Ministro della Pubblica Istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha pubblicamente ammonito la Dirigente scolastica del Liceo fiorentino “Leonardo da Vinci”, Annalisa Savino, per la lettera aperta – da lui definita “lettera del tutto impropria” – inviata ai suoi studenti con cui, condannandolo, invitava a riflettere sul pestaggio squadrista subito da due studenti del Liceo Classico Michelangiolo lo scorso 18 febbraio. Studenti colpiti da sei giovani di Azione studentesca, esterni alla scuola. Un’associazione costituitasi nel settembre 2016 quale forza collaterale in ambito studentesco di Gioventù Nazionale, attuale organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia. Una lettera che invitando ad approfondire quanto accaduto, poneva due questioni civili e morali particolarmente dense e per ciò stesso immediatamente politiche: quella dell’indifferenza quale vera e propria peste della coscienza, foriera di tragedie collettive; e quella della necessità di provvedere a nutrire in via rinnovata una vigilanza democratica attiva, poiché nessuno può “illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”; con chiaro riferimento alla marcia su Roma e all’assalto al potere di Benito Mussolini e dei suoi manipoli neri, preceduto da violenze d’ogni tipo (in proposito, spesso si dimentica come prima di conquistare definitivamente il potere, oltre tremila furono le vittime di aggressioni e attentati fascisti in Italia tra il 1919 e il 1924).

Un grido di allarme, una richiesta rivolta a questi giovani, ai nostri figli, di fermarsi e pensare, di non derubricare il tutto a scontro occasionale di strada, perché “nei periodi di incertezza e sfiducia nelle istituzioni e di sguardo ripiegato dentro il proprio recinto” vi è bisogno di reagire con un soprassalto di sguardo critico, un sussulto della cultura che se non è alfabeto per comprendere il mondo e i precipizi a cui i tempi possono condurci prima che tutto degrada e cada; tale non è. Una lettera confermativa in via non retorica e asciutta, la funzione alta dell’insegnamento e dell’apprendimento quale spazio e tempo della vita in cui non si trasmettono o assumono solo saperi e competenze, ma di questi si fa lievito primario della formazione umana e civile di ciascuno. In altro contesto, insomma, niente di più normale e necessario attendersi da una funzione docente. Da qui il punto di stacco, la cesura feroce con quanto avvertito e affermato da un Ministro che pure ha giurato sulla Costituzione fedeltà alla Repubblica e ai suoi principi. Non un pezzo di carta, ma il testamento morale scritto col sangue (che nonostante la sua personale indifferenza, non scompare e non sbiadisce) di oltre sessantamila caduti partigiani, dei torturati e degli inviati nei campi di sterminio, dei cancellati dalla società civile ed “invisibili” in ragione dei propri orientamenti sessuali, della propria etnia o religione e ancor prima, dei perseguitati politici in Italia e all’estero, dei bastonati, esiliati e confinati.

In una smemoratezza dei tempi a lungo voluta e colpevolmente perseguita, in quella zona grigia di valori e riferimenti che al presente pare via via ispessirsi e di cui questo governo è plastica espressione politica, i mostri ringhiano e dietro la maschera della modernità ripropongono la loro antica ferinità. Nella notte prodotta dallo smottamento culturale “dell’officina critica di molti” e dall’abbandono di una lettura di classe e funzione del conflitto sociale quale leva del cambiamento; nel cuore di una crisi ideale e sociale quale mai la Repubblica, e in essa le classi subalterne e le loro rappresentanze politiche, hanno visto; il fascismo del terzo millennio avverte l’antico richiamo del manganello e della violenza squadrista. Quello agito nelle strade, quello non meno violento proposto con barbarie culturale sui social (stemmi, inni, nuovo sgangherato nazionalismo, il valore del sangue e della terra quali cifra di un’aggiornata “italianità”, richiami e esaltazione dei passaggi più efferati del movimento fascista, sistematica falsificazione della storia). Una pulsione politica e culturale di questa destra, che nella attuale dialettica sociale si traduce nell’indossare di nuovo i panni del cane da guardia dei poteri economici e politici al comando più retrivi. Una destra che avverte l’occasione per rioccupare in maniera impudica una ribalta politica a lungo agognata, facendo strame di valori democratici essenziali. Il vero scandalo democratico sta in un Ministro che avverte come “improprio” il patrimonio dell’Antifascismo e chi lo ripropone con dignità e a testa alta (perché, al fondo, di questo si tratta) supponendo possibile censurare quanto accaduto, sino a minacciare sottilmente la libertà e la funzione democratica d’insegnamento di un docente. Dinanzi a tutto ciò ci indigniamo. Eppure, non basta. Non basta la solidarietà al Dirigente scolastico, né la reazione accorata di un momento. Molto e molto più va fatto. Molto più seri e gravi sono i guasti prodotti in questi anni a cui porre rimedio. Bisogna, da comunisti, esserne avvertiti. Ci convinciamo ancor più, invece, della necessità di tenere alto il profilo di un’azione resistente. Della ritessitura di un’azione di popolo, dello svolgimento di una funzione di educazione e di orientamento civile e politico in grado non solo di tenere, ma anche di rispondere a questo assalto scomposto e indecente. Oggi. Ora.

Già Pier Paolo Pasolini commentava con caustica e provocatoria amarezza come “l’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora, il fascismo.” Un giudizio spietato espresso in anni ormai lontani, sulle torsioni portate ai danni della coscienza critica, causate dagli effetti del boom economico, dalle mode e dalle pose culturali, dall’omologazione, dalla perdita di sé e del proprio ruolo sociale procurati al tessuto collettivo dalle violente e repentine trasformazioni avvenute nel Paese. Anche per questo abbiamo bisogno di dare senso nuovo ad un antifascismo militante che faccia piazza pulita di ogni retorica, di riferimenti sbiaditi, di un adagiarsi comodo. Di un antifascismo che sia prima di tutto scelta di campo circa i propri valori di riferimento, scelta di vita, coerente adesione alle istanze di giustizia, solidarietà e profondo cambiamento che -a partire da un nuovo protagonismo attivo- quel patrimonio e la formidabile stagione della Resistenza ci hanno consegnato. Il tutto, tenendo sempre bene a mente il senso di allarme contenuto in una delle meno conosciute riflessioni di Piero Calamandrei, artefice della Costituzione: “Bisogna fare di tutto perché quella intossicazione vischiosa (il fascismo) non ci riafferri: bisogna tenerla d’occhio, imparare a riconoscerla in tutti i suoi travestimenti.

In quel ventennio c’è ancora il nostro specchio. Solo guardando ogni tanto in quello specchio possiamo accorgerci che la guerra di Liberazione, nel profondo delle coscienze, non è ancora terminata .” Forse quel Dirigente scolastico non lo sapeva sino in fondo, ma il suo dire chiaro, il suo fare semplice e diretto coi propri studenti, il suo svolgere -in una parola- il proprio dovere di docente e di cittadina antifascista, ci ha ricordato come il fazzoletto delle brigate partigiane, il fazzoletto dei sacrifici fatti e che ancora al presente dovremo fare per difendere la nostra libertà e democrazia progressiva, una volta messo non si toglie più. Si mette e si difende per la vita.

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