I “colpevoli” sono le vittime

Dipartimento Lavoro PCI

Sono passati quasi 10 anni da quando, il 7 maggio 2013, morirono 9 persone nel crollo della Torre Piloti nel porto di Genova. E, adesso si può leggere su ANSA: Assolto l’ammiraglio Felicio Angrisano, ex comandante della Capitaneria di porto di Genova ed ex comandante generale della Capitaneria, nel processo di appello sulla collocazione della torre piloti del porto di Genova, crollata il 7 maggio 2013 per l’urto del cargo Jolly Nero provocando nove morti.”

Con l’ammiraglio, che era stato condannato a 3 anni nel primo processo, anche tutti gli imputati sono stati assolti. Nessun colpevole, quindi.

Sarà anche giusto dal punto di vista procedurale e legale e noi non vogliamo accusare nessuno, ma ci si dovrebbe porre almeno una domanda: come mai quando tragedie come questa (e tante altre minori) che coinvolgono lavoratori è così facile che gli imputati vengano assolti o che non si trovino i responsabili? A Genova ci sono stati morti a causa di condizioni anche geografiche che, plausibilmente, non sono una fatalità.

Questo succede anche perché non esiste una legislazione adatta alle “morti bianche”? Qualcosa che possa considerare tanti decessi di lavoratrici e lavoratori un reato penale di omicidio sul lavoro? È stato istituito quello per omicidio stradale (legge 41 del 2016), perché non esiste ancora per chi muore lavorando?

Si dirà che esistono le norme attuali e che sia inutile “appesantire” il codice penale. Certo, ma a questa obiezione vorremmo rispondere con alcuni interrogativi molto semplici: Perché, allora, tanti processi nei quali le vittime sono lavoratrici e lavoratori finiscono con “nessun colpevole” (ricordiamo il processo Marlane-Marzotto con oltre cento lavoratrici e lavoratori morti di tumore e la non colpevolezza per nessuno)? Perché, a volte, vengono patteggiate pene irrisorie grazie alle quali i colpevoli non fanno neanche un giorno di carcere (emblematico è il processo per la morte di Luana D’Orazio)? E quanti responsabili, tra i pochi condannati, sono stati o sono in carcere?

È anche per rispondere nei fatti a queste domande che si chiede che venga istituito nel codice penale il reato di omicidio sul lavoro. Basterà per contrastare la mancanza di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro? No, certamente no, ma sarebbe un primo passo al quale dovrebbero seguirne altri per un profondo cambiamento dei rapporti e delle condizioni di lavoro.

Oggi ci sentiamo in dovere di ricordare almeno i nomi di chi è morto quel 7 maggio 2016:

Sergio Basso, operatore radio dei rimorchiatori, 50 anni, di Vernazza (SP)
Maurizio Potenza, operatore radio dei piloti, 50 anni, di Genova
Michele Robazza, pilota, 44 anni, di Pistoia
Francesco Cetrola, maresciallo, 38 anni, di Santa marina (SA)
Marco de Candussio, capo di prima classe, 39 anni di Fornaci di Barga (LU)
Davide Morella, sottocapo di prima classe, 33 anni di Biella
Giuseppe Tusa, sottocapo di seconda classe, 30 anni, di Milazzo (ME)
Daniele Fratantonio, sottocapo di terza classe, 30 anni, di Rapallo (GE)
Giovanni Iacoviello, sergente, 35 anni, di Carrara.
E di condividere le parole di Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa, così come vengono riportate da ANSA: Sono tutti colpevoli, quanto vale la vita di un morto? I potenti non si toccano! Il porto di Genova non si tocca  I giudici non avevano un figlio lì sotto. Si sono ammazzati da soli.”

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