Salario minimo garantito: la sentenza

Dipartimento Lavoro PCI

Il tribunale del lavoro di Milano, qualche giorno fa, ha emesso una sentenza che fissa, inequivocabilmente, il principio per il quale il “lavoro povero”, sottopagato, è sfruttamento, inammissibile per legge. La sentenza in questione ha, infatti, stabilito che un salario orario di 3,96 euro (lordi) va contro la Costituzione. Il riferimento è all’articolo 36 che recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”

La lavoratrice di Padova, assunta da una società di vigilanza privata, che aveva promosso la causa con l’aiuto del sindacato ADL Cobas, ha vinto non solo per se stessa ma per chiunque abbia retribuzioni basse, insufficienti a vivere.


Quella del tribunale del lavoro di Milano è una sentenza “storica” che, dopo tanto tempo, si schiera dalla parte di lavoratrici e lavoratori perché, finalmente, viene applicata una norma costituzionale tra le tante che vengono abitualmente ignorate e dimenticate.  Una decisione che ha un enorme significato e, di fatto, fissa il principio che non solo può, ma deve esistere un salario minimo garantito.

È emblematico che debba essere un giudice (e non il legislatore) a stabilire qualcosa che dovrebbe essere un diritto universale. Le maggioranze dei parlamentari (quelli che sostengono il governo oggi e quelli che sostenevano i precedenti governi), evidentemente, non vogliono affrontare la questione salariale in maniera seria e equa.

Non è un caso che Giorgia Meloni abbia recentemente dichiarato che il salario minimo “rischia di creare condizioni peggiori, meglio la contrattazione collettiva”. Ma a questo è facile rilevare che la paga oraria in questione (che garantisce un salario mensile netto di circa 640 euro, sotto la soglia della povertà) sia frutto di un contratto collettivo firmato da CGIL e CISL che la dice lunga su cosa significa ,nel concreto quella concertazione che, evidentemente, produce effetti estremamente negativi per chi vive del proprio lavoro.

La regola imposta dal pensiero dominante è facilmente intuibile: il lavoro povero non solo è ammesso ma viene incentivato costringendo chi lavora a subire ricatti e ad accettare orari e turni di lavoro massacranti (ben oltre le 8 ore giornaliere) per arrivare a una retribuzione che consenta solo la sopravvivenza. Una maniera per rendere il lavoro sempre più precario, meno garantito, faticoso e, di conseguenza, pericoloso per la salute e la vita stessa di chi lavora.

Una “regola” che getta nella miseria chi lavora non può essere tollerata.

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