Dipartimento Lavoro PCI
Ieri, Primo maggio, festa dei lavoratori, il consiglio dei ministri ha approvato il decreto lavoro che favorisce la precarietà. Per questo governo di destra, come per i precedenti, non esiste una politica industriale del paese di medio respiro. Prospettive inesistenti ma un rincorrere dei problemi che serve soltanto a mettere delle pezze a una situazione disastrosa. Nulla di strutturale che risolva la situazione di grande disagio che vivono lavoratrici e lavoratori occupati o meno.
Viene sbandierato come “grande operazione” a favore di chi lavora il taglio del cuneo fiscale. I lavoratori, si legge, avranno fino a 100 euro (lordi) in più in busta paga. Poi si scopre che è tutto “a tempo” per il periodo luglio-novembre di quest’anno. In definitiva il beneficio per i lavoratori avrà una scadenza e si ridurrà a una specie di elemosina di stato. Un palliativo che non va nella direzione di cancellare la piaga del lavoro povero ma che sposta in là il problema facendo credere che si sta risolvendo qualcosa.
Il problema della mancanza di garanzie per un lavoro continuativo viene lasciato là, ingigantito, anzi, dalle misure che liberalizzano al massimo i contratti a termine e che reintroducono i voucher, incentivando la precarietà. Scelte che vanno nella direzione di considerare la precarietà la forma privilegiata del lavoro in Italia e tendono, di fatto, a ridurre i rapporti di lavoro a qualcosa di personale tra il padrone e il singolo lavoratore. Un ulteriore attacco frontale contro i lavoratori che tende a lasciarli ancor più soli e divisi di quello che sono oggi.
“Meno burocrazia per le imprese”, si scrive, con la cancellazione delle “rigide” causali legali del 2018 riguardo i contratti a termine e con lo smantellamento del decreto trasparenza dell’agosto scorso. “Liberi tutti”, si dovrebbe leggere.
La cancellazione del reddito di cittadinanza che viene sostituito dall’assegno di inclusione, una forma di sussidio simile all’elemosina neppure generosa, e va nella direzione di creare una folla di “richiedenti lavoro”, sempre più ricattabile e povera, che dovrà accettare condizioni estreme per poter sopravvivere. Tanto più se si tiene conto della nuova definizione di offerta di lavoro “congrua” che, se non accettata, fa perdere il sussidio. Si legge che il componente del nucleo familiare beneficiario dell’assegno di inclusione deve accettare in qualsiasi parte d’Italia un rapporto a tempo indeterminato o a termine di durata superiore a 12 mesi, anche ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi. Visto che i salari del nostro paese sono spesso insufficienti ad arrivare a fine mese, queste sono regole che costringeranno i disoccupati a una immigrazione interna che creerà un numero sempre crescente di lavoratori poveri.
E si può continuare con quello che non c’è nel decreto. Parliamo di salario minimo garantito e del nulla che si prevede per garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. I 245 morti per infortunio nei luoghi di lavoro oltre a quelli in itinere (fonte Osservatorio Nazionale morti sul lavoro), nei primi 4 mesi del 2023, evidenziano un problema che dovrebbe essere prioritario rivolvere e che viene, al solito, lasciato in disparte, non considerato. Si abbia coscienza che, per chi governa a nome e per conto del padrone, la sicurezza nel lavoro è sostanzialmente un costo e che è molto più importante il profitto piuttosto che la salute e la vita di chi lavora.
Se si tiene conto di altre recenti scelte come il codice degli appalti che liberalizza i subappalti a cascata e riduce i concorsi a qualcosa di marginale, o l’accordo tra l’associazione consulenti del lavoro e l’ispettorato nazionale del lavoro in tema di garanzie sulle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro, la situazione diventa drammatica.
Il ruolo dello Stato viene confermato inesistente. Deve limitarsi a favorire le imprese, a garantire ai loro padroni profitti sempre crescenti senza regole che possano anche solo far pensare a una distribuzione della ricchezza. L’enorme divario tra ricchi e poveri non solo viene consolitato ma viene favorito nella sua crescita.
Ecco, nonostante i proclami, questo decreto è solo un altro passo nella direzione di cancellare i diritti e le conquiste che erano stati raggiunte dal movimento dei lavoratori con la lotta. È lo smantellamento progressivo e “scientifico” della Costituzione che continua in un crescendo che pare inarrestabile.
Da tempo ci vogliono far credere che “siamo tutti sulla stessa barca” e che i sacrifici li devono fare le lavoratrici e i lavoratori. Eppure la lotta di classe esiste, solo che la stanno vincendo i padroni.