Odessa: la strage dimenticata

Giorgio Langella – Responsabile Dipartimento Lavoro PCI

Il 2 maggio 2014 (poche settimane dopo la “rivolta” di piazza Maidan) è la data che segna, probabilmente, l’inizio della guerra in Ucraina. In quel giorno paramilitari nazifascisti ucraini assaltarono la Casa dei sindacati di Odessa dove morirono ufficialmente 48 persone (secondo le testimonianze, però, furono trovati molti più cadaveri). Erano antifascisti russofoni che si difendevano dall’assalto. Furono bruciati vivi, assassinati uno a uno, donne, uomini, vecchi, giovani. Un massacro premeditato e rimasto impunito anche se i filmati mostrano inequivocabilmente chi furono i responsabili.

A distanza di 9 anni i più diffusi mezzi di informazione italiani hanno ricordato qualcosa? Non sembra proprio. 

Eppure servirebbe a capire tante cose della guerra in corso. 

Servirebbe a ricordare, per esempio, che la guerra in atto è cominciata molto prima del 24 febbraio dell’anno scorso. 

Servirebbe a ricordare che in questi 9 anni si sono succeduti fatti spesso sottovalutati (volutamente o meno non importa) come gli accordi di Minsk (1 e 2) che oggi vengono definiti da Angela Merkel e Francois Hollande, allora presenti, solo uno stratagemma della Nato per permettere all’Ucraina di prepararsi alla guerra. È evidente di chi siano pesanti responsabilità per la loro mancata attuazione. Ma se gli accordi di Minsk fossero stati attuati, non avrebbero, forse, evitato i massacri ai quali assistiamo oggi? 

Servirebbe a capire il perché del “ritorno” in Russia della Crimea e la nascita delle autoproclamate repubbliche popolari del Donbass. 

Servirebbe a ricordare i circa 15.000 morti nel conflitto armato tra esercito ucraino (nel quale furono integrati formazioni paramilitari di chiara ispirazione neonazista come il battaglione Azov). 

E servirebbe a comprendere il clima di odio e il crescendo, che pare inarrestabile, verso una guerra, se possibile, ancor più spaventosa dell’attuale.

Con questo si vuole giustificare l’entrata dell’esercito russo in Ucraina? 

No di certo, ma dovrebbe far prendere coscienza che la situazione in Ucraina è ben più complessa di quello che sembra. Specialmente se ci si ferma a dare le patenti di “buono” o “cattivo” ai belligeranti sul campo. E, forse, potrebbe accendere qualche dubbio su quale “democrazia” stia difendendo il governo ucraino finanziato militarmente ed economicamente da NATO, UE, USA. 

Infine dovrebbe farci ragionare sul fatto che la priorità non può essere l’escalation militare e l’esaltazione di una guerra che massacra i cittadini qualunque lingua parlino, qualsiasi religione professino. La priorità deve essere fermare la guerra e far scoppiare la Pace. Bandire ogni esaltazione bellicista, stipulare accordi che garantiscano i diritti a tutti i popoli. Negoziare la smilitarizzazione dei confini.

Parlare di Pace non vuol dire essere “putiniani”, vuol dire soltanto usare la logica.

Promuovere negoziati seri che giungano a una Pace che faccia il bene dei popoli (cosa che l’Italia e la UE, obbedienti a ordini superiori, si sono guardate bene dal fare) è l’unica soluzione praticabile, l’unica strada che si può percorrere. 

Altrimenti la tragedia continuerà e si amplierà portandosi dietro un carico inimmaginabile di morte e miseria. E noi non potremo più pensare che “tanto capita agli altri”.

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