di Patrizio Andreoli – Segreteria Nazionale e Dipartimento Politiche dell’Organizzazione
Il saluto romano e la chiamata “presente” sono “un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista” che dunque “integra il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba” laddove, “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Dunque, se non c’è concretezza organizzativa e squadraccia fascista col pugnale tra i denti pronta all’assalto, non c’è reato. Questo è quanto fissato dalle Sezioni Unite della Cassazione nei giorni scorsi. Immediato il fragoroso plauso dei fascisti vecchi e nuovi ed in primis di CasaPound che con virile piglio (fascista, appunto) ha ribadito come noi “continueremo a fare il saluto romano”; nella scia lunga di un vergognoso revisionismo, della demolizione e negazione dell’antifascismo quale tessuto connettivo profondo della Repubblica, di sdoganamento di gesti, appelli e pronunciamenti che -tra indifferenza e sottovalutazione- non si contano più, tesi all’orgogliosa (!) rivalutazione di Mussolini, del fascismo, dei “bei tempi andati”, “quando c’era lui, caro lei!”. Quindi avanti con sfilate e raduni fascisti derubricati ad innocue rievocazioni storiche (come la lugubre parata di Acca Larenzia recitata secondo un copione nazi-fascista tra torce in notturna, inquadramento e divise paramilitari). Davanti alle lapidi dei caduti partigiani, nelle vie intitolate ai nostri Martiri della Libertà, dinanzi ai binari da cui partirono per lo sterminio italiani inermi, sarà dunque possibile fare il saluto romano, esibire simboli fascisti e ricordare i fasti neri dei fucilatori di italiani e dei traditori della Patria, senza incorrere in denuncia alcuna, se non quella politica dei soliti comunisti che parlano ancora di Resistenza e di valori inossidabili e attuali di cui tener conto. Ma sì! Diciamola tutta: “E basta con ‘sto fascismo”, “Cari compagni ci avete rotto”, tanto per citare il titolo della recente fatica editoriale di Daniele Capezzone di cui colpiscono la profondità di pensiero e lo stile. Il fatto serio, è che c’è chi pensa accettabile fare della memoria democratica del Paese una barzelletta, e della storia una carnevalata. Di questo passo, ben presto sotto il balcone di Piazza Venezia a Roma, troveremo prestanti ragazzoni vestiti di nero e armati di manganello che al grido di “a noi!”, tra saluti romani e battutacce, inviteranno ignari turisti stranieri a fare una foto ricordo del ventennio; né più né meno dei centurioni di noantri che presso il Colosseo mostrando spade e corazze di latta, da anni si mettono in posa accanto a stupiti giapponesi desiderosi di portare a casa un ricordo dell’Impero. Nel deserto delle coscienze, è il peggio che torna. È la banalità del male che riduce la tragedia a farsa triviale. Anche nel 1922 in occasione della marcia su Roma qualcuno disse che si trattava di una carnevalata che sarebbe durata poco. Durò invece vent’anni tra lutti, tragedie, una guerra mondiale fortunatamente perduta. In proposito, c’è sempre chi salta su ricordando come sia l’ora di finirla perché “quella” storia non può ripetersi. È vero. Dietro al volto di quest’opaca modernità segnata da smemoratezza e capitomboli all’indietro sul terreno dei diritti democratici e sociali, potrebbe oggi essercene una già in cammino diversa ma non per questo meno pericolosa e peggiore! (27 gennaio 2024)