Edoardo Castellucci – Segreteria Nazionale PCI – Responsabile Ambiente e Territorio
Il 25 settembre non è stata solo la data delle elezioni politiche, è stata anche la Giornata mondiale dei fiumi, istituita nel 2005, per coinvolgere l’opinione pubblica in una riflessione sui territori fluviali, per una migliore gestione dei “corsi d’acqua” in tutto il pianeta.
Quella del 25 settembre era l’occasione per riflettere sui tragici eventi che hanno colpito il Senigalliese, dove i cambiamenti climatici, dovuti al riscaldamento globale, e la vulnerabilità del territorio hanno alluvionato un’area delle Marche già duramente colpita dall’alluvione del 2014.
Periodicamente assistiamo, nel nostro Bel Paese, a fenomeni naturali che provocano disastri e vittime su territori, violentati da interventi selvaggi ed abusivi, che sono diventati ormai fragili, ed ogni volta bisogna fronteggiare l’emergenza provocata dall’azione dirompente dei temporali e delle tempeste di pioggia.
Sono tanti gli esempi che in questi ultimi dieci anni hanno riempito e riempiono le cronache e le pagine dei media. Non si salva nessuna Città, nessuna Provincia, nessuna Regione, è un continuo bollettino di inondazioni, di frane e smottamenti, di spiagge mangiate dal mare, che ci consegna una Italia sempre più fragile, un territorio che affonda e si sfalda, in balia degli eventi e dei cambiamenti climatici.
Anche questa volta il nostro Paese si è svegliato fragile e insicuro, aggredito dall’intensità degli eventi e dalla forza della natura, che ha provocato morte e distruzione.
Eventi che, la seconda parte del sesto Rapporto IPCC aveva indicato, avrebbero colpito in particolare l’area mediterranea sottoponendola: all’aumento delle ondate di calore, alla siccità e ad inondazioni più frequenti e più intensive, ma che non possono essere ricondotti ai soli effetti diffusi e negativi dei cambiamenti climatici, ma anche e soprattutto all’incuria e alle azioni e agli errori dell’uomo, che ha irregimentato i fiumi in canali e argini, ridotto le zone di esondazione naturale, consumato il suolo impermeabilizzandolo, ha permesso di costruire nelle aree a maggior rischio idrogeologico.
Azioni ed errori che la crisi climatica ha amplificato favorita da una politica dell’emergenza che continua ad ignorare gli eventi invece di pensare a politiche di messa in sicurezza del territorio, ricorrendo a leggi come la 183 del 18 maggio 1989 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) e/o alle Norme PAI (Piano Assetto Idrogeologico) forma di tutela per l’incolumità pubblica.
Questi disastri ricorrenti impongono interventi mirati, per la realizzazione di un programma di prevenzione e contrasto del dissesto idrogeologico, per superare il “privilegio della politica dell’emergenza”, perché non si risolleva l’economia con l’emergenza, ma con la messa in sicurezza del territorio e con la prevenzione. Una strada da seguire e da mettere in pratica, per non piangere ancora i nostri morti, e che deve essere perseguita attraverso una Rigenerazione ambientale, paesaggistica e territoriale con la realizzazione di un “Piano nazionale di prevenzione, riassetto, salvaguardia e messa in sicurezza del territorio” come avevamo sottolineato all’indomani degli eventi sismici di Amatrice dell’agosto 2016.
Ciò presuppone che la politica ambientale e territoriale debba voltare pagina, per un cambiamento profondo dei nostri orizzonti, cambiamento che non si attua legiferando la modifica della Costituzione inserendo la tutela dell’ambiente nei principi fondamentali, artt. 9 e 41, perché è dimostrato che nonostante principi fondamentali, come la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, fossero da sempre alla base della Carta costituzionale sono stati offesi, vilipesi e saccheggiati, grazie all’assenza dello Stato e dei Governi che lo hanno guidato, legittimando di fatto lo stato delle cose e sanando abusi e speculazioni edilizie con tre condoni.
Il paradosso è che chi ha votato la modifica della Costituzione, sono gli stessi che ci stanno portando verso il disastro ambientale; sono gli stessi che vogliono la prescrizione degli ecoreati; sono gli stessi che non approvano una legge fondamentale contro il consumo di suolo, da cui “… dipende non solo buona parte del cambiamento climatico, ma il rischio idrogeologico, il paesaggio …”, per impedire la cementificazione di quel poco suolo che ci rimane; sono gli stessi che continuano, da decenni e decenni, a finanziare nuove e vecchie infrastrutture che risultano opere inutili e dannose, abbandonando l’adeguamento e la messa in sicurezza della rete stradale nazionale, regionale e locale.
Sono gli stessi che non hanno saputo e voluto proporre scelte innovative per un deciso cambiamento delle politiche ambientali e territoriali, riproponendo scelte poste a base di una logica del profitto, mentre c’è la necessità di una transizione e conversione ecologica e di una rigenerazione ambientale e territoriale che salvaguardi gli ecosistemi; lotti contro l’inquinamento ed i cambiamenti climatici, riduca e azzeri il consumo di suolo e la deforestazione, conservi la biodiversità agricola rigenerando la fertilità della terra.
Transizione e rigenerazione sono le priorità di una politica economica nuova, dove l’economia si pone al servizio di ambiente e territorio e non viceversa, per dare una prospettiva alle future generazioni, che salvaguardi le risorse e che metta all’ordine del giorno la realizzazione di un programma di cambiamento sociale e politico dell’Italia.
Si tratta di scegliere tra varie alternative: quella di ignorare gli eventi e basare la politica sullo stato di calamità naturale; quella dell’adattamento alle catastrofi naturali, ovvero la resilienza; quella che interroga la natura e ne prevede gli effetti, conosciuta come pianificazione territoriale che è basata sulla prevenzione e non sull’emergenza.
Non possiamo continuare ad ignorare gli eventi e non possiamo continuare ad adattarci ai cambiamenti climatici non assumendo, in merito, scelte strutturali di cambiamento. Non è la resilienza la nostra prospettiva di vita, ma il ritorno ad una politica di pianificazione e prevenzione che, lo ribadiamo, non rendono niente ma ci permettono di risparmiare costi futuri, sprechi di denaro pubblico, e di salvare vite umane, questa è la risposta alternativa che prediligiamo da comunisti, perché riteniamo che il territorio, “soggetto vivente ad alta complessità”, debba essere considerato un “bene comune” e/o collettivo, che va tutelato e governato.
Negli ultimi 50 anni la concentrazione dei gas serra, responsabili dell’innalzamento della temperatura media terrestre, sono aumentati molto. La CO2 è quasi raddoppiata passando da 280 a 420 parti per milione nell’atmosfera. Il metano che ha un effetto serra 30 volte superiore a quello della CO2 sta aumentando la sua concentrazione. Occorre ripensare il modello di sviluppo affinché possiamo cercare di mantenere i livelli attuali di inquinamento dai gas serra. Molte situazioni sono di “non ritorno” come per esempio lo scioglimento dei ghiacciai polari e alpini. Questo provoca a sua volta un minore effetto albedo (riflettanza) verso l’atmosfera. Oltre quindi agli effetti giustamente evidenziati che riguardano la salvaguardia del territorio, la diversa entità dei fenomeni atmosferici si ripercuote sull’innalzamento del livello delle acque marine, sul benessere animale e umano, sui raccolti agricoli che sono devastati da piogge tanto intense quanto sempre più rare, dalle riserve di acqua dolce che scarseggiano, ecc. Quindi solo il PCI potrà portare ad un diverso modello di sviluppo, mettendo in campo serie politiche energetiche.