Ruggero Giacomini – PCI Marche
Orgogliosi di esserci. In pulman o in treno, siamo arrivati tra una gran massa di persone che continua ad affluire e ci divide, felici infine di ritrovarci dopo aver percorso il corteo in entrambe le direzioni e averne respirato il clima: festoso, colorato, determinato. Tante bandiere rosse, specialmente della Cgil, tante bandiere col colore arcobaleno della pace. E’ un corteo grandioso come non si vedeva in Italia da anni. Centomila diranno dal ‘palco alla fine dei discorsi, con un pezzo di corteo che non è potuto entrare nella piazza San Giovanni. E’ una manifestazione parlante, con gli slogan gridati, le scritte, i cartelli inalberati, gli striscioni srotolati e affollati.
Ci ritroviamo infine attorno al nostro di Ancona, quasi ancora al punto di partenza, e che qualcuno nel percorso elogerà come “il più bello”. Per la sintesi comunicativa del contrasto che oppone le forze distruttive della guerra e della Nato a chi ha a cuore la vita e il futuro del pianeta: NOI MADRE TERRA, VOI NATO E GUERRA.
Tutti i tentativi della vigilia, di talune forze politiche sostenute dai media, di stringere la manifestazione contro la guerra dentro il politicamente corretto della fedeltà e sottomissione agli Usa ed alla Nato sono spazzati via dal sentimento corale che nelle diversità di provenienza unisce in profondo i partecipanti.
Non è permesso barare. Se ne accorge Enrico Letta, il cinico e rovinoso segretario del PD, quando con tutte le precauzioni del caso cerca di entrare nel corteo, per segnarlo con la sua presenza della fedeltà atlantista e della spinta al governo italiano a inviare ancora e sempre armi per far durare la guerra e le sue distruzioni, in continuità col ministro guerrafondaio Guerini, che almeno ha avuto il pudore di non farsi vedere.
Nonostante la scelta accurata dello spezzone di corteo dove infilarsi, Letta è riconosciuto contestato e costretto con ampie e rapide falcate ad una ingloriosa fuga, infilandosi anche una mascherina nell’ormai vano proposito di passare inosservato.
L’imponente manifestazione romana lo dice chiaramente; molto più chiaramente e nettamente di taluni confusi discorsi che vengono dal palco: tra la pace e la guerra non è possibile e non è ammissibile alcuna equidistanza, cessate il fuoco immediato e dare la parola alla diplomazia e alle trattative è l’imperativo e chiede comportamenti coerenti, in parlamento e nel Paese.
Che il messaggio sia arrivato forte e chiaro lo dimostra la reazione stizzita nei commenti dei media mainstream l’indomani. Come ad esempio il giornale governativo per definizione “il Messaggero”, lamentante come “solo un paio di trotzkisti” inalberassero cartelli a favore di Zelenski e contro Putin e la Russia, nello spirito bellicista della guerra fino in fondo, ignorando i rischi distruttivi di un’escalation senza fine ed anche la realtà dell’Ucraina divisa tra est e ovest e i diritti che pure non si dovrebbero ignorare delle popolazioni del Donbass. Tutte questioni che possono e debbono essere affrontate in un confronto negoziale.
Dalla manifestazione di Roma viene ora una spinta a continuare la mobilitazione articolandola nei territori con comitati unitari aperti ed inclusivi perché l’obiettivo del “cessate” il fuoco sia raggiunto e ottenuto quanto prima.
Bello il lapsus freudiano di chiamare il nipote col nome dello zio….