Dipartimento Lavoro PCI
Forse è opportuno ritornare sull’argomento “Partito-Sindacato” per evitare equivoci, ambiguità e inutili polemiche.
Fin da quando il PCI è stato fondato nel 2016, è stata presa la decisione di affermare il principio per il quale il Partito non ha un sindacato di riferimento. È stato scritto nei documenti approvati dall’assemblea fondativa di Bologna e ribadito nelle tesi e nei programmi definitivi dei due congressi ad oggi svolti.
Questo è, quindi, un punto fermo della politica del Partito che serve a rimarcare, tra l’altro, la differenza tra il “fare politica” e il “fare azione sindacale”.
L’autonomia del Partito da un Sindacato (e quindi da qualsiasi sindacato) è ritenuta necessaria per poter elaborare una linea politica originale e indipendente. Un progetto che, per quanto riguarda la questione lavoro, ma non solo, deve spingersi nella teoria e nella pratica oltre l’orizzonte sindacale.
Fissati gli obiettivi principali (che si possono leggere nel “manifesto sul lavoro” presentato e sviluppato nelle due conferenze nazionali sul lavoro e nelle innumerevoli iniziative di questi ultimi anni scaricabile in formato pdf) possiamo, anzi dobbiamo, analizzare documenti e fatti che riguardano il movimento sindacale nel suo complesso e “dire la nostra” su decisioni, proposte e scelte dei vari sindacati, criticando quando le riteniamo sbagliate, appoggiandole quando rientrano nella nostra prospettiva politica. Altrettanto può e deve accadere riguardo ad accordi e contratti ottenuti o subiti.
Ritengo che questa sia una posizione assolutamente corretta e indispensabile per il Partito. Una scelta coerente e produttiva, persino ovvia, per far si che il nostro Partito non si limiti a inseguire gli avvenimenti o a partecipare come comparsa nei vari conflitti che nascono, ma possa diventare protagonista di una visione diversa del mondo del lavoro. Si potrebbe dire che, se un sindacato (parlo di qualsiasi esso sia) è vincolato dal fatto che si deve applicare la contrattazione (cosa ben diversa dalla concertazione) e dovrà gioco forza arrivare a una sintesi e spesso a una mediazione, il Partito Comunista Italiano deve avere un progetto per affermare un modello di sviluppo capovolto rispetto all’attuale e una prospettiva di trasformazione radicale dei rapporti di forza tra capitale e lavoro (a favore dei lavoratori).
Veniamo a cosa è successo in questi ultimi anni. Forse si poteva fare di più ma, comunque, quel “poco” che abbiamo realizzato presenta elementi di novità da non trascurare.
In base al principio di “non avere un sindacato di riferimento” abbiamo appoggiato e sostenuto scioperi e iniziative di sindacati confederali e di sindacati di base.
Abbiamo sempre fatto appello alla massima unità sindacale possibile, per esempio, riguardo agli scioperi nazionali o territoriali.
Abbiamo ritenuto negativi alcuni accordi, iniziative e altro che consideravamo sbagliate e distanti dalla nostra politica se non alternative. E lo abbiamo detto e scritto senza nasconderci dietro il paravento della convenienza.
Ci siamo sempre detti contrari al concetto stesso di concertazione, criticando politicamente anche con asprezza (ma nel rispetto dei ruoli) la “timidezza” della dirigenza CGIL nei confronti del conflitto, così come la “chiusura” di USB verso lo sciopero nazionale promosso da CGIL e UIL (considerato giustamente “tardivo” ma non per questo poco importante … comunque una svolta, un cenno di novità nell’atteggiamento dei sindacati confederali) o lo “splendido isolamento” di altri sindacati di base che proseguono nella linea di “andare divisi” sempre e comunque …
Abbiamo, invece, appoggiato, partecipato e sostenuto lotte e posizioni che andavano nella direzione di promuovere un conflitto unitario e di classe. Mi riferisco alle note vicende della GKN, alla lotta della FedEx e alla ex Firema di Caserta, alle tante mobilitazioni della logistica e delle industrie tessili di Prato, alla Whirpool, alla Iveco di Brescia e alla Timken di Villa Carcina (BS), alla Portovesme-Glencore in Sardegna …
Lo abbiamo fatto senza avere né simpatia incondizionata né ostilità a prescindere rispetto alla sigla sindacale che aveva iniziato e condotto la lotta.
Questi sono solo esempi di quel principio di “non avere un sindacato di riferimento ma di essere in grado di interloquire con tutti” che è alla base della linea politica del nostro Partito.
È giusto ricordare alcuni fatti.
Il Dipartimento Lavoro del Partito ha lanciato alcune campagne di sensibilizzazione e mobilitazione su punti fondamentali:
- Salute e sicurezza nel lavoro (a partire dalla richiesta pressante di istituire il reato penale di omicidio sul lavoro);
- Rappresentanza politica e sindacale di chi vive del proprio lavoro;
- Precarietà e questione salariale (necessità di un adeguamento dei salari al costo della vita che si può definire per brevità “nuova scala mobile”).
Queste campagne ci vedono protagonisti con raccolta di adesioni (sulla salute e sicurezza sono già migliaia), banchetti, propaganda, iniziative sempre partecipate, mozioni inviate alle amministrazioni locali e quant’altro.
Si badi bene, queste sono campagne aperte a “chi ci sta” su obiettivi politici ben delineati. Tutto meno che settarismo o chiusura verso “gli altri”.
Questo ha portato a ottenere consensi da esponenti e delegati sindacali di CGIL, CISL e UIL, così come di USB, SGB ecc. Ma non solo, abbiamo contattato e ottenuto apprezzamenti e appoggio da diverse associazioni, da Medicina Democratica, dall’Osservatorio nazionale morti sul lavoro di Carlo Soricelli, dalla Pastorale del lavoro, da esponenti di varie organizzazioni politiche anche non affini alla nostra ideologia (per esempio Verdi o M5S).
Questi esempi sono la dimostrazione di come l’azione del Partito Comunista Italiano in tema di lavoro sia corretta, giusta. Individuare obiettivi primari e, su questi, costruire (in un percorso lungo e difficile, certo, ma promettente) alleanze e unità d’azione con “chi ci sta”. E farlo “laicamente”, da comunisti, senza legarsi (o peggio accodarsi) a questo o quel sindacato, a questo o quel partito più forte, a questo o quel movimento più o meno “di moda”.
Sono scelte, quelle del Partito sul lavoro, che delineano una linea, una prospettiva di cambiamento, autonoma e chiara; programmi e obiettivi sui quali si possa creare consenso al nostro progetto, grazie all’azione che le nostre compagne e i compagni presenti a qualsiasi livello e con qualsiasi responsabilità dovrebbero portare avanti all’interno delle organizzazioni sindacali.
Questo è il nostro compito, il compito di ogni comunista.
Faccio fatica a trovare anche un solo documento dove si avanza una critica specifica all’operato della Cgil su una questione specifica. Se mi sbaglio potete mandarmi e mandare un riferimento se e quando avete preso posizione sulla cosiddetta “timidezza” della Cgil poichè al sottoscritto non risulta da nessun documento. Grazie