Odio gli indifferenti (i morti sul lavoro)

Dipartimento Lavoro PCI

Dopo il caso di Campagna Lupia (VE) venuto alla luce qualche giorno fa (“Venezia, morto dopo le ustioni. Indagato il titolare: avrebbe mentito sull’incidente e affidato i soccorsi a un collega” … “la causa sarebbe stata fatta risalire a un incidente domestico …” articolo de ilfattoquotidiano.it), oggi si può leggere questo titolo: “Misero in scena un malore per nascondere la morte dell’operaio in cantiere, sette arresti a Latina”  (su roma.repubblica.it).

Sono notizie emblematiche di molte cose che diciamo da tempo. Quanti sono gli infortuni (mortali e no) che vengono nascosti, che diventano “malore”, che non vengono conteggiati?

Non è solo una questione di criminalità o cronaca nera, è qualcosa di più sottile e pericoloso. Una cultura perversa che, abitualmente, mette chi lavora al termine di una catena infame. Un pensiero unico che viene assimilato e accettato anche da gran parte di chi subisce condizioni di lavoro sempre più precarie. Sopra tutto e tutti c’è il profitto, dopo le macchine e molto più giù le lavoratrici e i lavoratori ormai ridotti a “capitale umano”, a “risorse umane”, a “cose”. E diventa tutto normale, anche il far finta di niente, l’essere indifferenti, il considerare le persone che lavorano solo pezzi di ricambio che valgono meno di tutto il resto. È un meccanismo infernale che si può riassumere in due parole: “realismo capitalista”.

A chi non si accorge o non vuole farlo che stiamo percorrendo una strada che ci porterà alla perdita di qualsiasi diritto, del rispetto e della dignità che ci eravamo conquistati con la lotta, vogliamo dedicare “Odio gli indifferenti” scritto da Antonio Gramsci nel febbraio del 1917. Un testo ancora attuale che, se da un lato dimostra la grandezza di Gramsci, dall’altro fotografa con impietosa saggezza la situazione che stiamo vivendo:

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

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