“LAWFARE”, IL NUOVO MODO DI FARE UN GOLPE IN AMERICA LATINA. DOPO CASTILLO TOCCHERÀ A GUSTAVO PETRO?

Dipartimento Esteri PCI – Coordinamento America Latina

La scorsa settimana la Colombia è stata di nuovo percorsa da manifestazioni popolari di piazza a sostegno del governo, alle quali ha partecipato lo stesso Presidente, Gustavo Petro.

Il clima che si sta respirando nel Parlamento e nel Paese è quello di un tentativo in atto per attuare un colpo di Stato che, come avvenuto alcuni mesi fa in Perù con la destituzione e l’arresto del Presidente progressista Pedro Castillo, vanifichi con qualche atto pseudo legale la volontà popolare espressa con le Elezioni.

La violenza politica è da numerosi decenni parte integrante della vita quotidiana dei colombiani e le sue origini sono strettamente legate alla mai attuata riforma agraria, all’estrattivismo e ad un sistema politico a lungo basato su un bipartitismo conservatori-liberali privo di rappresentativita’ e durato almeno fino al 1990.

La Colombia è conosciuta più che altro per il narco traffico e per una guerriglia popolare-contadina che purtroppo, in 60 anni di storia, non è riuscita a cambiare le sorti del Paese.

Le bande paramilitari dei latifondisti, dei narco trafficanti e della destra imperversano da decenni in piena sintonia operativa con le forze armate e di polizia. Migliaia di sindacalisti, attivisti sociali e politici, ex guerriglieri delle FARC “legalizzati” dopo i trattati di pace, giudici e politici onesti vengono sistematicamente uccisi da decenni da questo sistema armato di potere, che costituisce lo Stato vero.

La presenza militare USA, con il pretesto di combattere il narcotraffico, è sempre servita a combattere la guerriglia di sinistra e a mantenere il controllo politico militare della Colombia, punto nevralgico della dominazione imperialista nel “cortile di casa” latinoamericano.

Nel 2021-2022 la Colombia è stata scossa da ampie proteste popolari contro le sempre maggiori iniquità sociali e le forze dell’ordine hanno risposto come sempre con arresti, torture e violenze di ogni tipo.

In questo clima si sono create le condizioni per l’elezione a Presidente della Repubblica di Gustavo Petro, ex guerrigliero dell’M-19 (un gruppo nazionalista di sinistra) ed ex Sindaco della capitale Bogotà.

È stato fatto di tutto per impedirgli di vincere, fra minacce di morte e imprenditori che affermavano tranquillamente in televisione che avrebbero licenziato tutti i dipendenti nel caso di una sua vittoria.

Ma Petro ha vinto e si è costituito un esecutivo che si prefigge l’espansione dei programmi sociali, la tassazione dei ricchi, l’abbandono di un’economia dipendente dai combustibili fossili, sostegno ai contadini per la riconversione delle colture e lotta al narcotraffico, un accordo di pace con la guerriglia (a cominciare da quella dell’ELN), una riforma agraria che colpisca il latifondo, lotta alla corruzione, riforma tributaria, della sanità e delle pensioni, una politica estera fondata sul multilateralismo.

Come si vede, un programma più democratico che socialista, ma che in un Paese dove la violenza istituzionalizzata a tutela dei privilegi e delle sperequazioni sociali è l’essenza stessa del sistema, rappresenta una vera e propria rivoluzione.

Questa necessaria e fin troppo sintetica premessa prova a spiegare il contesto del clima golpista che aleggia in Colombia in queste settimane. Fin dall’inizio della Presidenza Petro, l’opposizione e la parte più moderata del governo (alla quale il neo Presidente aveva affidato incarichi ministeriali per garantirsi una maggioranza parlamentare e spaccare il fronte avversario) hanno frapposto in misura crescente ostacoli e rallentamenti all’attuazione del programma di governo. Per molti mesi, la mancanza di una mobilitazione di massa a sostegno dello stesso ha rappresentato un altro problema.

Nelle ultime settimane si sta palesando il tentativo di bloccare l’azione governativa e la ricerca di un appiglio formale per arrivare ad un “impeachment” del Presidente. Tentativi di questo genere, fondati sulla collaborazione fra mass media, social, gruppi parlamentari di destra, potere legislativo in mano all’oligarchia e forze armate, è diventato da anni il nuovo modo di fare un golpe in America Latina, attuato o in fase di attuazione con più o meno successo in Perù, Ecuador, Argentina, Brasile, Bolivia, Paraguay, Honduras, Guatemala, Cile, dai primi anni 2000 ad oggi. Questo metodo si chiama “lawfare” e rappresenta un vero e proprio crimine politico consumato nel nome della legge.

Prima si ordisce una campagna mediatica fondata su false accuse contro il personaggio politico da “distruggere”; in Parlamento si riprendono e sostengono queste accuse; di seguito la magistratura indaga sulle accuse di rilevanza penale agitate da questa campagna; infine il Parlamento e/o la magistratura creano le condizioni giudiziarie per la destituzione del personaggio politico in questione e del suo arresto. Quel che è successo a Lula in Brasile e che ha portato alla vittoria di Bolsonaro è ben noto a tutti.

È quindi chiaro che l’Amministrazione USA e le sue ambasciate, non essendo più accettabile dall’opinione pubblica un golpe nudo e crudo alla Pinochet, hanno aggiornato i loro metodi, nascondendosi dietro la “legalità democratica” per continuare a imporre il loro dominio economico e la loro presenza militare in America Latina.

Potranno riuscirvi solo nel breve-medio termine, perché il mondo sta cambiando e l’accordo fra Cina e Brasile, che ha eliminato l’uso del dollaro negli scambi commerciali reciproci fra questi due giganti, è solo un esempio.

Il Partito Comunista Italiano sostiene il Presidente colombiano Gustavo Petro, il governo bolivariano del Venezuela, Cuba socialista e i governi latinoamericani che, in forme e accentuazioni diverse stanno realizzando quella “seconda indipendenza” che porterà l’America Centrale e del Sud a unirsi e liberarsi definitivamente dal controllo e dallo sfruttamento degli Stati Uniti d’America. Non più quindi “l’America agli americani” (del nord) come sostiene la dottrina Monroe, ma l’America Latina ai latinoamericani.

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