ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

Ringraziamo la compagna Paola Melchiori del Dipartimento Nazionale Istruzione

Le morti e il ferimento di studenti tirocinanti durante gli stage organizzati dalla scuola nell’ambito del PCTO hanno portato alla ribalta il tema dell’alternanza scuola-lavoro e  della scarsa sicurezza nei luoghi di lavoro, che spesso non hanno strutture adeguate e mancano delle protezioni previste per legge, non solo per gli studenti, ma per tutti i lavoratori.

L’alternanza scuola-lavoro è stata introdotta sperimentalmente nel 2003 ed è diventata parte integrante e obbligatoria dell’offerta formativa di tutti gli indirizzi di studio della scuola secondaria di secondo grado, negli ultimi tre anni di corso con la con la legge 107 del 2015 – meglio nota come “Buona scuola” voluta dal governo Renzi.

La legge 17 ottobre 1967, n. 977, che tratta della “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”, si riferisce espressamente ai casi in cui esiste un rapporto di lavoro (es. apprendistato), condizione che non sussiste per gli studenti in alternanza. Detta legge prevede, ad esempio, una visita medica obbligatoria e preventiva per i minori che accedono ad un rapporto di impiego, mentre per le attività svolte a scuola o in alternanza, in cui non c’è un rapporto di lavoro, la sorveglianza sanitaria è prevista solo nei casi in cui la valutazione dei rischi, considerati i compiti richiesti evidenzi concrete situazioni di esposizioni a rischi per la salute degli studenti.

L’ alternanza scuola-lavoro è stata presentata come “una metodologia didattica che si prefigge lo scopo di avvicinare la formazione offerta dal mondo della scuola alle competenze richieste dal mercato del lavoro”, e ha ottenuto l’approvazione di molti, proprio spacciandosi come facilitatrice dell’inserimento degli studenti nel mondo reale, quasi che la scuola non sia una fucina di costruzione del pensiero, ma un isolato castello d’avorio nel quale le giovani menti si perdono dietro a idee inutili e vaghe, invece di mirare velocemente a un impiego il più remunerato possibile.

Pur sostenendo che l’esperienza del lavoro per gli studenti possa essere utile e costituire un importante elemento formativo, è da ricusare la sua obbligatorietà per tutti gli studenti dai quindici anni in su, anche perché comporta l’offerta di soluzioni lavorative spesso improvvisate e non sempre adatte e congeniali al singolo, con compiti che non hanno nulla a che fare con le conoscenze apprese.

Le attese circa l’effetto formativo dell’attuale alternanza appaiono eccessive poiché difficilmente essa potrà colmare il gap tra la formazione scolastica e il lavoro, vista la velocità con cui si sviluppano i modelli aziendali con cui la tanto amata “scuola del fare” non potrà mai restare alla pari. Meglio sarebbe dare spazio allora alla “scuola del capire” che permette di costruire strumenti mentali adattabili alle varie situazioni che si possono presentare.

Nella nostra società neoliberista la scuola deve essere subalterna e funzionale al progresso economico e ad essa spetta l’addestramento del capitale umano necessario al sistema produttivo. In questo senso, l’attuale esperienza dell’alternanza insegna ai giovani a non avere pretese, ad accettare ringraziando qualunque mansione venga loro offerta portando a termine velocemente quello che viene loro richiesto.

Lo studente impara quindi che deve adattarsi alle necessità aziendali ed essere acquiescente ai comandi sul lavoro, poiché il suo destino dipende da questo, ma soprattutto gli viene trasmessa l’idea che egli è impotente rispetto a questo stato di cose, e quindi che si deve rassegnare. Si comincia a instillare l’idea che poter lavorare è un regalo che ci viene fatto dal padrone e per il quale nulla ci è dovuto.

 Altro aspetto fondamentale è la assoluta gratuità dei tirocini proposti dalla scuola. Essendo essi obbligatori e non essendocene molti a disposizione, è ovvio che gli studenti accolgano con gratitudine qualunque proposta venga loro fatta, senza pretendere che il lavoro svolto possa essere, almeno in parte remunerato.

L’alternanza scuola-lavoro è particolarmente nociva perché si basa su un principio supinamente accettato dalla maggioranza delle persone, quello cioè che il compito della scuola sia di preparare e formare i giovani per entrare nel mondo del lavoro, il che non è assolutamente vero. Compito e obiettivo primario della scuola non è formare lavoratori, ma cittadini in grado di osservare la realtà che li circonda, elaborando delle categorie mentali per analizzare i fenomeni, costruire uno spirito critico ed avere di se stessi e della società che li circonda una visione divergente e innovativa.

La tendenza scolastica degli ultimi anni va drasticamente verso la riduzione del tempo-scuola. La scuola del futuro è infatti vista come una istituzione ‘agile’ e poco incisiva, una scuola ’liquida’ dove si apprendono le competenze richieste per essere dei “buoni lavoratori”, ma non si sviluppano capacità critiche e di pensiero, come se non si dovesse prima di tutto essere “buone persone”.

È concepibile, anche se di non facile realizzazione, una diversa esperienza di alternanza scuola-lavoro che non si attui nel segno della subalternità della scuola al mondo lavorativo. La scuola deve incentivare negli studenti una consapevolezza critica della realtà del lavoro e l’alternanza deve quindi diventare un’occasione per riflettere su tale realtà e prendere coscienza delle sue logiche e delle sue problematiche. A questo scopo, per esempio, dovrebbero essere previsti anche incontri con le organizzazioni sindacali e la partecipazione degli studenti a dibattiti tra queste e le forze imprenditoriali.

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